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Homo sapiens, la Grande storia della diversità umana

Trento, Museo delle Scienze, 21 settembre 2012 - 13 gennaio 2013

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Una grande mostra per raccontare una grande storia. Forse la storia più bella di tutte: la nostra. A partire da una piccola valle africana, qualche milione di anni fa, un gruppo di primati di grossa taglia comincia a muoversi sugli arti posteriori in posizione eretta e da allora il nostro cammino non si è più fermato.
La mostra è il racconto di questo cammino fatto di ripetute uscite fuori dall’Africa di gruppi umani via via più simili a noi, da incontri e incroci tra le diverse popolazioni sparse sui diversi continenti, da un progredire di conquiste tecnologiche e culturali fino al giorno d’oggi e al futuro che ci stiamo preparando.
Una mostra che apre a nuovi orizzonti di pensiero.
Un percorso che ci aiuta a comprendere la trama profonda delle affinità e delle diversità dei popoli del mondo.
 
Dopo il successo della prima edizione al Palazzo delle Esposizioni di Roma che, con oltre 200.000 visitatori è stata una tra le mostre più visitate del 2011 in tutta Italia in senso assoluto), HOMO SAPIENS si presenta rinnovata al Museo delle Scienze di Trento, dal 21 settembre 1012 al 13 gennaio 2013. E sarà anche un’occasione speciale, l’ultima grande mostra nella sede storica di via Calepina.
Una sorta di arrivederci prima del trasferimento nel nuovo avveniristico edificio del Muse, progettato da Renzo Piano.
La mostra, curata da Luigi Luca Cavalli-Sforza e da Telmo Pievani, è anche il racconto di un approccio scientifico particolare all’antropologia, in cui genetica, paleontologia e linguistica si incrociano e confermano l’una con l’altra.
Negli ultimi quarant’anni gli studi del Prof. Cavalli Sforza (emerito a Stanford) hanno dimostrato che il corredo genetico delle popolazioni umane, i resti paleontologici e gli studi linguistici, convergono tutti in un unico e coerente grande racconto. La grande storia della diversità umana.
 
La mostra, organizzata dal Museo delle Scienze di Trento con Codice. Idee per la cultura, a cura di Luigi Luca Cavalli Sforza e Telmo Pievani, è stata insignita dell’Alto patronato del Presidente della Repubblica e può vantare il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Commissione nazionale italiana per l’UNESCO, dell’ANMS, dell’ICOM e di ECSITE.
La mostra, promossa dalla Provincia autonoma di Trento, ha De Agostini quale partner scientifico e fruisce del sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto e Apt Trento Monte Bondone Valle dei laghi.
 
 IL PERCORSO
La mostra presenta delle caratteristiche di grande attrattività: reperti unici presentati per la prima volta al pubblico, grandi apparati espositivi, un ricco insieme di risorse multimediali e di spazi per l’interattività.
Come in una macchina del tempo, saremo riportati in Africa oltre tre milioni di anni fa durante un’eruzione vulcanica, per scoprire, impresse nel fango di ceneri vulcaniche, le più antiche impronte antichi antenati.
 
La prima sezione della mostra, «Mal d’Africa» racconta i primi passi dell’umanità milioni di anni fa, prima in Africa e poi nel resto dell’Eurasia con una ricostruzione degli eventi resa viva grazie a una serie di fossili originali, alcuni per la prima volta esposti in Italia. 
La seconda, «La solitudine è un’invenzione recente», ci racconta della nascita della nostra specie circa 200.000 anni fa in Africa e della sua convivenza con altre forme umane sparse sul pianeta fino a solo 12.000 anni fa. Da allora Homo sapiens è l’unica specie umana sul pianeta.
 
La terza, «I geni, i popoli e le lingue», presenta la rivoluzione culturale del Paleolitico, con il suo carico simbolico rappresentato, soprattutto, dalla nascita dell’arte. In mostra il più antico strumento musicale della nostra specie, un flauto, che diffonderà la sua musica all’interno della ricostruzione di una caverna preistorica.
 
Una capanna introdurrà infine alla quarta sezione, «Homo sapiens, la specie planetaria», dove si comprende come l’invenzione dell’agricoltura, oltre 10 mila anni fa, abbia permesso la colonizzazione di tutto il pianeta.
Seguiremo questi spostamenti, le conquiste di un popolo sull’altro e i conseguenti fenomeni di ibridazione di «geni, popoli e lingue».
Due exhibit interattivi, in modo divertente, ci permetteranno di comprendere come il nostro DNA ci accomuni più di quanto pensiamo agli altri esseri viventi e che le razze, all’interno della nostra unica specie umana, proprio non esistono!.
 
 LE NOVITÀ DELL’EDIZIONE TRENTINA
Pur mantenendo la stessa struttura di base, l’edizione trentina è caratterizzata da nuovi reperti di grandissima importanza.
I reperti fossili del sito di Buia in Eritrea appartengono ad Homo ergaster, una specie molto antica di circa 1,8 milioni di anni fa. Si tratta di una importantissima scoperta frutto della collaborazione di diverse università italiane.
 
L’uomo di Neanderthal non era il «bruto» che molti si immaginano, ma aveva una sua sensibilità artistica.
Lo testimoniano, in mostra, il calco di un flauto ricavato da un osso di orso (forse il più antico strumento musicale mai scoperto) ritrovato in Slovenia, e le ossa originali di uccello, provenienti dal sito veneto di Fumane, che testimoniano l’uso di penne per adornare il corpo. 

Dal veneto e anche dal Trentino arrivano strumenti litici originali, che testimoniano la colonizzazione del Nord-Est italiano da parte di questa nostra specie cugina.
 
La mandibola di Visogliano (carso triestino), che sarà presente in mostra in originale, è uno dei reperti umani più antichi d’Italia, datato tra i 350 e i 500 mila anni fa. Appartiene a Homo heidelbergensis, specie di origine africana che arrivò in Europa e che è considerata l’antenato comune tra i sapiens e i neandertal.
Sempre dal nord-est arrivano i fossili neolitici originali del Cranio di Mompaderno e della mandibola di Lonche. In particolare sulla mandibola è stata rilevata un’otturazione effettuata con cera d’api.
La più antica testimonianza di cure dentali della storia.
 
I reperti trentini mesolitici e neolitici del riparo Gaban e del Riparo Dalmeri (statuette femminili in osso, strumenti musicali, graffiti su pietra, strumenti litici), raccontano i popolamenti preistorici delle Alpi, la dimensione cultuale, le strategie di caccia, l’organizzazione degli spazi abitativi.

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