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Lettere al direttore – Claudio Riccadonna

Il fascino della città metropolitana di Palermo sembra voler dimenticare gli eroi del nostro tempo, abbandonati, come dei martiri, al loro tragico destino…

Il fascino arabo e normanno del suo centro storico, l'attrazione esercitata dalle splendide località di mare della sua provincia, l'incanto dei suoi mercati folkloristici come la Vucciria e Ballarò, nonché i sapori della sua tradizione culinaria...
Potremmo continuare nell'elenco che risulterebbe pur sempre ingeneroso rispetto alla ricchezza del territorio.
Stiamo parlando della città metropolitana di Palermo.
 
Durante una breve vacanza nella città della conca d’oro, però, ho avvertito anche l'esigenza di ritagliarmi dei momenti per visitare alcuni luoghi della memoria, in una sorta di conto aperto con la storia civile, che appartengono al nostro vissuto e che, ancora oggi, sollecitano e scuotono le nostre coscienze «ispiratori di virtù civiche» come recitano taluni monumenti.
Ci sono targhe, insegne e bassorilievi che commemorano l'eccellenza di tanti servitori dello stato che hanno perso la vita per affermare il diritto alla legalità.
 
Nella centrale via Cavour e all'altezza di Alcott abbigliamento è collocata una lastra marmorea che ricorda l'assassinio del giudice Gaetano Costa, il 6 agosto 1980, da parte di due sicari mafiosi, mentre stava consultando dei libri presso una bancarella.
Il magistrato integerrimo e incorruttibile «di cui si poteva comprare solo la morte» aveva rifiutato la scorta per non mettere a rischio la vita di altri e aveva firmato personalmente, contro il volere di altri colleghi la convalida di un ordine di cattura del boss Spatola e altri. Un uomo “solo” alla procura di Palermo.
 
Poi proseguendo tra traverse e viuzze, arrivare in via Isidoro Carini e trovare un bassorilievo che in una drammatica tensione espressiva rappresenta l'agguato del 3 settembre 1982 al prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso con la moglie Carla Emanuela Setti Carraro e con l'agente di scorta Domenico Russo.
Il dolore e l'impotenza scolpiti nel volto del generale che, nonostante il tentativo disperato di un abbraccio protettivo, non riuscirà a salvare la vita alla giovane compagna sposata solo alcuni mesi prima (entrambi peraltro svisati con inaudita ferocia).
 
Sopraggiunti poi nell'elegante via Libertà al civico 131, all'altezza dell'abitazione giovanile dell'attuale Presidente della Repubblica, una targa ricorda l'assassinio dell'allora presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella, colui che progettava la modernizzazione delle istituzioni e la loro liberazione dal giogo mafioso che, parafrasando la scrittura di Timoteo incisa nella lastra, «aveva combattuto l’eccellente combattimento (contro il sistema mafioso) fino all’ultimo momento della sua vita”.
A pochi passi, poco più in là, infilarsi in via Pipitone, sempre nella Palermo residenziale, in cui il 29 luglio 1983, con metodo cosiddetto «libanese», un'autobomba fece saltare in aria il giudice Rocco Chinnici, due uomini della scorta e il portiere dello stabile.
 
Chinnici mise le basi al Maxiprocesso, ma capì anche prima di altri la necessità di sensibilizzare studenti e società civile contro Cosa nostra.
Soprattutto fu tra i promotori del pool antimafia, in cui assumeranno negli anni successivi un ruolo attivo i giudici Falconi e Borsellino.
E come non ricordare i colloqui tra lo stesso e il giudice Costa nell’ascensore del palazzo di giustizia di Palermo, lontani da occhi indiscreti e per «non farsi sentire».
 
E poi ancora via Croce Rossa al civico 81 in cui il 6 agosto 1985 venne assassinato il vice questore Ninni Cassara davanti agli occhi annichiliti della moglie, che dal sesto piano, assistette in diretta, con il figliolo di soli due anni in braccio, alla morte del marito.
Chiaramente non sono mancate precedentemente la visita al giardino della memoria e alla stele commemorativa di Capaci e la visita all’albero della pace in Via D'amelio, ma questi sono luoghi ben noti a tutti.
 
Un itinerario formativo e costruttivo che riporta alla memoria una parte della nostra storia ancora così «aperta» che mi ha fatto anche riflettere sulla «solitudine» di questi uomini determinati e capaci, spesso non supportati sufficientemente dalle istituzioni se non traditi dalle stesse e, probabilmente, abbandonati, come dei martiri, al loro tragico destino.

Claudio Riccadonna - Ala

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