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Lettere al direttore – Paolo Farinati

Cosa ci fa la Lega federalista e popolare con il nazionalismo d’élite di Fratelli d'Italia?

È da parecchio tempo che rifletto su questo aspetto della politica italiana. L’attuale campagna elettorale mi ha motivato ancor più a scrivere un breve pensiero, non certo esaustivo, sul tema.
Cosa ha a che fare la Lega federalista e popolare con una visione da sempre chiaramente nazionalista ed elitaria di Fratelli d'Italia? Io rispondo convintamente: poco o nulla. Siamo innanzi a due visioni politiche, sociali, valoriali e culturali assai differenti.
Le origini della Lega di Umberto Bossi si sono radicate sull’idea di una costruzione federalista della Repubblica Italiana, sull'esempio della Svizzera e della Germania. Non sono stati casuali i significativi successi elettorali di questo partito, soprattutto in Lombardia e in Veneto.
Molto importante per la Lega era in quegli anni il contributo delle teorie istituzionali del giurista e politologo prof. Gianfranco Miglio.
 
Al liceo, allorquando studiammo il Risorgimento e la seconda metà dell'Ottocento, mi interessai molto al pensiero federalista di Carlo Cattaneo. Condividevo l'idea di un'Italia unita nella varietà e nella diversità di storie, tradizioni e culture. Anni dopo, lo stesso pensiero del prof. Miglio lo trovai interessante e tutt'altro che infondato e non percorribile. Io, socialista da sempre, ritenevo e ritengo tuttora che più le istituzioni e la politica si avvicinano, anche territorialmente, alla gente, più questa le può democraticamente controllare e rendere così più responsabili e più efficaci nel loro operato nell’interesse dei cittadini.
In questo senso, capii perché molte persone del ceto produttivo si avvicinarono alla Lega. Il lavoro e i benefici e il benessere da esso prodotti dovevano essere visibili e tangibili nelle comunità e nei territori propri di quelle persone. Quando la Lega convertì il proprio pensiero e il proprio obiettivo politico verso la secessione, onestamente non ne compresi il motivo. Mi sembrava una forzatura che tradiva lo stesso pensiero del prof. Miglio, un atto populista assai miope, una speculazione politica senza alcun possibile orizzonte concreto.
 
A fronte di quanto sopra mi rimase e rimane tuttora in me il quesito: che ci azzecca il federalismo della Lega con un’inderogabile visione nazionalista di Fratelli d'Italia? Ribadisco il mio: nulla!
Matteo Salvini in questi ultimi anni ha progressivamente stravolto l'originaria visione della Lega bossiana. Ha però perso via via anche moltissimi consensi. Forse si è troppo appiattito sul tavolo assai ingordo della destra nazionalista di Giorgia Meloni.
La Lega, nelle regioni del Nord Italia, ha raccolto ampi consensi nel variegato mondo del lavoro, nelle fabbriche, tra gli artigiani. Tutti soggetti che in gran parte negli Anni '70 e '80 votavano DC, PSI e magari pure PCI(!). Ovvero mi riferisco a quel mondo popolare che nutriva la sua speranza di vita solo attraverso il proprio lavoro quotidiano.
Quindi, al di là dell'enorme discordanza che vi è e vi sarà sempre tra federalismo e nazionalismo, tra la Lega e la destra italiana ed europea vi sono anche indiscutibili differenze sociali e culturali.
 
Sono più che certo che il compianto prof. Gianfranco Miglio avrebbe oggi molto da discutere con Matteo Salvini, soprattutto in merito alla sua innaturale alleanza con Fratelli d'Italia. Lo rimprovererebbe non poco, anche in presenza del forte calo di consensi avuto in questi ultimi anni dalla Lega. Forse il prof. Miglio inviterebbe Salvini e gli altri leader della Lega a cambiare schema, a guardare verso alleanze più coerenti e più vicine alle origini del loro partito. Del resto nella vita, e in politica ancor più, nulla è immutabile e definitivo per sempre.
In conclusione, non mi stupirei se in un futuro anche non troppo lontano, magari in presenza di ulteriori insuccessi elettorali, la Lega avviasse un dialogo con soggetti politici diversi e oggi presenti in coalizioni alternative. Facendo nascere una nuova "unità nella varietà", per dirla con le parole di Alcide Degasperi.

Paolo Farinati

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