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Cinquant’anni fa il fallito golpe di Junio Valerio Borghese

L’operazione fallì sul nascere, Borghese scappò in Spagna, 48 persone vennero arrestate, processate e... assolte

Il golpe Borghese fu un tentato colpo di Stato avvenuto in Italia nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, organizzato da Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale e in collaborazione con Avanguardia Nazionale.
 
Valerio Borghese era stato un eroe della Seconda Guerra Mondiale, avendo coronato di successo le missioni più difficili della Marina Militare, quelle effettuate con i maiali contro le navi della Marina Britannica nei porti di Alessandria e Gibilterra, e fu decorato di medaglia d’oro e croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia.
Dopo l’armistizio del 1943, quando la flotta italiana venne consegnata agli alleati, Borghese costituì la X Flottiglia Mas, destinata a operare in terra. Ovviamente si legò alla Repubblica sociale di Salò.
Alla guida della X Mas, Borghese commise un sacco di atrocità, ma fu anche l’unica unità a combattere a fianco dei tedeschi per salvare gli italiani in Istria dalle stragi degli slavi, nonché per l’opera assistenziale compiuta presso i campi di concentramento tedeschi che ospitavano italiani.
 
Alla fine della guerra ammainò la bandiera e smobilitò la X Mas. Borghese fu processato. Fu prosciolto subito dall’accusa di crimini di guerra, ma fu condannato per collaborazionismo e «concorso morale» in una strage.
Fu condannato a due ergastoli, evidentemente «morali» anche quelli perché furono poi ridotti 12 anni di carcere. Otto anni vennero immediatamente condonati per gli atti di valore svolti al servizio della Regia Marina Italiana.
E poiché venne promulgata l’amnistia voluta dall’allora ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, fu scarcerato quasi subito: aveva scontato più di quello cui era stato condannato…
 
Come era prevedibile, Borghese si iscrisse al Movimento Sociale nel 1951. Ne divenne presidente onorario, ma nel 1953 lasciò il MSI di Almirante perché ritenuto «troppo debole» e si avvicinò alla destra extraparlamentare.
Nel 1968, non accorgendosi di quanto stava accadendo in Italia con, appunto, il «68», fondò il «Fronte Nazionale», i cui scopi - secondo i servizi segreti di allora - erano quelli di «sovvertire le istituzioni dello Stato».
Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre promosse il colpo di stato che portava il suo nome, ma che non portò da nessuna parte.
 
Va precisato che l’onorevole Almirante aveva informato l’allora Ministro dell’Interno Franco Restivo che Borghese stava mettendo in atto un golpe con il coinvolgimento di parecchi funzionari dello Stato Italiano.
Non sappiamo cosa successe realmente, ma il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti.
L’ammiraglio Gino Birindelli, suo ex commilitone e medaglia d’oro al valor militare, affermò che «Borghese era una persona troppo intelligente e patriota per fare queste fesserie». Secondo lui, infatti, l'idea del golpe era frutto solo dell'entusiasmo dei giovani sostenitori del principe Borghese.
 
Dopo l'accertamento del tentativo, vennero arrestate 48 persone accusate di cospirazione politica. Processate, alla fine vennero tutte assolte con sentenza definitiva del 1984.
Borghese invece, per evitare l'arresto si era rifugiato in Spagna, dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana.
Questi i fatti. Però ora voglio raccontare un aneddoto risalente ai tempi del tentato colpo di stato, mentre ero militare.
 
Comandavo un distaccamento di alpini a Fortezza. Eravamo in ordine pubblico permanente, per cui i miei alpini non potevano uscire mai dalla casermetta se non per servizio. Una cosa inimmaginabile oggi, ma va ricordato che quelli erano i tempi degli attentati dinamitardi in Alto Adige.
Fatto sta che i ragazzi erano irascibili e il più delle volte io e il mio caporal maggiore dovevamo intervenire per impedire che venissero alle mani per futili motivi. Di conseguenza, consegnavo due caricatori per il Garand solo alle pattuglie che uscivano a svolgere qualche missione. Me li restituivano al rientro. In caserma mi preoccupavano un po’ anche le loro baionette, ma nessuno mai ne impugnò una. Li avevo avvisati.
Poi una sera di dicembre 1970 arrivò un fonogramma inquietante dal comando di Vipiteno, a partire dal fatto che dovevo ricevere il dispaccio solo io personalmente.
«Si ordina a questo distaccamento di raddoppiare le guardie e di seguire le istruzioni del piano B custodito in cassaforte della Fureria.»
Chiamai il caporal maggiore, chiusi la porta e gli feci leggere il fonogramma.
- E cosa dice il Piano B? – Mi domandò.
Gli passai anche quello.
- Quadruplicare la dotazione di ogni soldato con caricatori da 7.62 Nato per Garand – Armare i graduati con pistola Beretta e due caricatori cal. 9 – Portare la MG nella torretta di vigilanza con quattro scatole di nastri di munizione – Rispondere al fuoco a qualsiasi attacco che possa arrivare. -
- Sono impazziti? – Mi domandò. Cosa sta per succedere?
- Non ne ho idea. – Risposi.
- Cosa facciamo? – Domandò. – So che tu non vuoi dare munizioni ai ragazzi…
- Obbediamo, – dissi. – Quanti caricatori gli devo dare se moltiplichiamo per quattro quelli che gli do di solito?
- Zero per 4 fa zero!
- Esatto.
Quella notte raddoppiai le guardie, mentre io e il caporal maggiore passammo la notte armati a fianco della MG.
Ma non successe assolutamente nulla e l’indomani riportammo MG e nastri in armeria.
Era la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970.

G. de Mozzi

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