Sei anni fa l'Adigetto.it partiva per l’Afghanistan – Seconda parte
Trasferimento alla base di Shindand, presidiata dal 5° reggimento alpini di Vipiteno
(Vedi prima parte)
L'Afghanistan è un Paese grande più del doppio dell’Italia (350.000 kmq), con una popolazione pari a meno della metà dell’Italia (32 milioni), privo di uno sbocco al mare (la costa più vicina è quella che si estende lungo il mar Arabico, circa 480 km a sud).
Confina a est e a sud con il Pakistan, a ovest con l'Iran e a nord con gli stati centroasiatici di Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan. Condivide inoltre un breve tratto di confine con la Cina.
La maggior parte dei fiumi (Helmand, Hari Rud, Morghab) ha origine dalle catene centrali e defluisce nei bacini desertici meridionali, con la sola eccezione del Kabul, tributario dell'Indo. Sono inoltre presenti fiumi a carattere torrentizio che non sono di importante rilevanza e non sempre sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno idrico dell'agricoltura locale.
L'Afghanistan ha un clima continentale, caratterizzato quindi da un inverno rigido e un'estate torrida. Durante l'inverno la temperatura può scendere fino a -15°, ed è questo anche il periodo più piovoso dell'anno.
L'estate è caratterizzata da un clima molto caldo e secco, meno in altitudine dove le sere sono fresche.
Il paesaggio, arido e brullo, è dominato dalla steppa, sfruttata come pascolo. Tuttavia ci sono delle aree verdi in prossimità dei corsi d’acqua. Le ridotte aree forestali sono limitate ai versanti meridionali delle catene lungo il confine pakistano, che beneficiano dell'influsso monsonico.
Un paese che non interessa molto il resto del Mondo, ma che ciononostante ha visto per un certo periodo la dominazione inglese, poi l’invasione russa e infine l’intervento della NATO.
Nel C 130.
La missione ISAF era stata decisa nel 2002, un anno dopo l’attentato alle Torri Gemelle, e l’Italia, in quanto membro del Patto Atlantico, aveva deciso di fare la sua parte e il Parlamento aveva approvato l’iniziativa.
Scopo della missione era dare man forte alle istituzioni costituite per tenere sotto controllo quella parte del popolo afghano che non voleva avere nulla a che fare con il governo di Kabul. In una parola, i Talebani. Quelli stessi che diedero filo da torcere ai russi e con i quali adesso dovevamo vedercela noi.
All’Italia fu assegnata la provincia di Herat, una delle più vaste delle 34 province che compongono l’Afghanistan, con un milione e mezzo di abitanti per 54.000 kmq (un quinto in più delle Tre Venezie).
Quando partii per la missione giornalistica, l’Italia aveva dislocato in Afghanistan circa 3.000 soldati. La grande unità impiegata era la brigata Julia, il cui comando in Italia è a Udine, con reggimenti dislocati nelle Tre Venezie. Tra gli altri il 5° Reggimento alpini di stanza a Vipiteno, il 6° di stanza a Belluno e il 2° Genio guastatori alpini di stanza a Trento.
Singolare anche la presenza anche dei Marò del Reggimento San Marco di Venezia, pure appartenente alla Julia. D’altronde servivano dei fucilieri, anche se esperti in operazioni anfibie in un Paese che non confina con il mare.
La mia prima destinazione fuori dalla base di Herat fu Shindand, 200 km a sud, dove il 5° reggimento alpini aveva costruito la propria base. “Costruita” nel vero senso della parola, perché i nostri genieri l’avevano realizzata collocando gli «Hesco Basion» come un moderno fortino eretto in pieno territorio degli apache.
Hesco Bastion e Shindand.
Un bastione Hesco è un moderno gabbione di tela rinforzata usato per controllare le inondazioni e, a livello militare, come un particolare contenitore fatto con tondini metallici, mentre al suo interno può contenere grandi quantità di terra e sabbia.
Si può utilizzare come misura temporanea o semi permanente per rinforzare un argine o in campo prettamente militare a protezione di esplosioni.
L’intero perimetro della base di Shindand era fatta con Hesco Bastion. Il vantaggio degli Hesco sta nel fatto che sono facili da collocare vuoti e vengono riempiti velocemente con ghiaia e sabbia. Gli accessi alla base erano fatti con una doppia mandata, in modo che un eventuale razzo potesse al massimo rompere un singolo bastione senza andare oltre.
I Talebani avevano provato a lanciare dei razzi a caduta all’interno della base, ma senza colpo ferire.
All’interno c’erano alcune costruzioni in muratura e altre in tende a struttura gonfiabile.
Il collegamento con Herat era assicurato con la Ring Road, la strada ad anello che percorre l’intero Afghanistan, unico regali utile lasciato dai Russi.
Ma c’era anche una pista per aeromobili.
Noi arrivammo quella mattina a bordo di un C130. Il viaggio fu breve, ma era breve anche la pista d’atterraggio… Quando ci fermammo chiesi al comandante se atterrava sempre così, in modo - diciamo - piuttosto brusco.
«Per forza, – mi rispose. – mancano almeno 300 metri di pista per fare un atterraggio morbido.»
Amen.
Il colonnello Corradello.
Trovai ad attendermi un automezzo Lince che il comando della base aveva inviato per prelevarmi. Fui portato dal colonnello Giovanni Corradello, comandante della base, cioè del 5° Alpini di Vipiteno.
Corradello è originario di Mattarello e mi ha accolto come un concittadino in visita. Già che c’ero, mi chiese se conoscevo l’armamento dei nostri soldati.
«Lei ha fatto il corso alla Scu7ola Militare Alpina di Aosta, – mi disse. – Qual è stata la sua ultima arma?»
«Il Garand…»
«Caporale! – Gridò. – Portami il mio armamento!»
Ovviamente non avrei mai dovuto usare armi, ma era bene che vedessi cosa era cambiato dai miei tempi. Mi mostrò il fucile in dotazione ai nostri soldati, il Beretta AR 70-90.
Oltre al nuovo calibro 5,56 Nato (il Garand aveva un calibro 7.62) le novità più interessanti erano date dalla selezione del tipo di automatismo, il peso, la funzionalità ambidestra, ma soprattutto il mirino olografico. Consente di vedere in un puntino rosso dove arriverà il proiettile.
Il comandante mi portò a vedere la base, mi presentò ai collaboratori, parte dei quali avevo incontrato alla caserma Battisti di Trento, sede del 2° Reggimento del Genio.
Mi mostrò i mezzi del Genio, blindati e corrazzati per sopportare eventuali esplosioni di mine, i suoi mezzi d’assalto Freccia e il parco macchine Lince.
Quest’ultima si è dimostrata il mezzo più adatto alle pietraie dell’Afghanistan. È un mezzo blindato leggero di nuova generazione prodotto da Iveco Defence Vehicles di Bolzano. A pieno carico, sette tonnellate e può ospitare quattro militari, più il rallista, il mitragliere alla ralla. Gli ultimi Lince prodotti a Bolzano hanno anche un frigorifero. Non per tenere in fresca le bevande, ma per conservare il plasma…
Sopra, il Buffalo; sotto i Freccia.
Una volta conosciuta la base, il comandante mi affidò a una pattuglia di Lince che sarebbe uscita di pattuglia nel deserto.
Non è stata una cosa da nulla. Indossare un pesante giubbotto antiproiettili e un elmetto, legarsi con cinque cinture di sicurezza e ascoltare le direttive della pattuglia, è stato davvero impegnativo.
La pattuglia era formata da due automezzi, «in teatro operativo i mezzi devono sempre essere almeno due». Il capo pattuglia, un capitano, decide la «rotta». È proprio il caso di chiamarla rotta perché le poche strade che c’erano dovevano essere possibilmente evitate e comunque qualsiasi canale o passaggio che lasciava pensare a un possibile agguato esplosivo andava accuratamente evitato.
Il mezzo era dotato di ogni dotazione elettronica. Anzitutto il «jammer» telefonico (disturbatore di frequenze) è uno strumento utilizzato per impedire ai telefoni cellulari di ricevere o trasmettere onde radio. Lo scopo è quello di impedire di telecomandare un’esplosione con un cellulare.
Poi il mezzo dispone di alcuni GPS, che consentono alle basi operative di Shindand, di Herat e di Roma, di vedere sempre dove si trova il mezzo. Anche il segnale GPS, dicono, veniva distorto per impedire al nemico di utilizzarlo.
Alo stesso modo, una lavagnetta luminosa consente di comunicare tra le auto e la base e di vedere dove ci si trova.
Va aggiunto a questo punto che le nostre forze armate in missione dispongono della rete telefonica Tetra. I soldati hanno un cellulare di rete che consentono di comunicare tra loro (e con casa) senza utilizzare una rete pubblica. Per chiamare la base di Herat, per capirci, si fa il prefisso di Roma, lo 06.
Anche il collegamento internet è sempre disponibile e i soldati lo usano per comunicare con casa. Chattare con la morosa è una delle poche cose che possono fare nel tempo libero.
Guido de Mozzi
(Continua)