Il perché di una tragedia – Di Maurizio Panizza

La verità del bombardamento di Sant’Ilario del 13 settembre 1944 – Prima parte

 

Un anno fa il giornalista e nostro collaboratore Maurizio Panizza pubblicava per la prima volta su L’Adigetto.it un’intervista fatta a un testimone oculare del tragico bombardamento americano avvenuto a Sant’Ilario di Rovereto il 13 settembre del 1944.
Non si era mai saputo prima come si fosse realmente svolto il grave fatto di guerra e il perché di un bombardamento effettuato in aperta campagna, lontano da punti strategici.
A distanza di un anno da quel primo articolo, Panizza - dopo accurate ricerche effettuate presso gli archivi militari degli Stati Uniti - ora svela finalmente come avvenne il disastro e chi fosse al comando del B-24 americano che sganciò le bombe in aperta campagna uccidendo 18 persone, fra cui 4 bambini.


Bombardieri B- 24 Liberator in formazione.

   MORIRE PER NULLA 
Il bombardamento di Sant’Ilario del 1944
(Prima parte)

 La vicenda del bombardamento di Sant’Ilario di Rovereto del 13 settembre 1944, descritta per la prima volta da un testimone oculare che finalmente, dopo 72 anni, ricostruisce in maniera dettagliata i fatti di una tragedia che costò la vita a 18 persone.
Valentino Rosi (foto) oggi è un tranquillo signore di 86 anni che si dedica alle cose che ama di più.
Lo fa con moderazione, come è dovuto alla sua veneranda età, occupandosi di orto e di prodotti della terra, ma anche collezionando oggetti più o meno antichi che lo riportano con nostalgia alle molte stagioni della sua vita.
Abita da solo in una vecchia casa del centro storico di Volano, dove alle pareti molte fotografie parlano in silenzio di tempi lontani, di periodi felici e di persone care che non ci sono più.
La memoria non fa difetto a Valentino e neppure la capacità di raccontare. Discorrendo con lui, affiorano vive le tracce del tempo e, assieme alla spensieratezza della gioventù, ritorna anche il ricordo di un tragico avvenimento accaduto più di settant’anni fa e mai cancellato.
Valentino mi parla di quel lontano 13 settembre del 1944, quando lui, giovane di quindici anni, da una collina del Brione assistette attonito al bombardamento nei pressi di Sant’Ilario che stroncò la vita di 18 civili, fra cui quattro bambini.
«Non fu, però, un vero bombardamento – precisa – di quelli cioè indirizzati contro una fabbrica, un ponte o una ferrovia.
«Qui si trattò di un bombardamento in aperta campagna, in un posto assolutamente privo di obbiettivi strategici.
«Insomma, fu qualcosa d’altro - mi spiega - che se tu vuoi comprendere è necessario partire dall’inizio di quella tragica giornata.»
 

L'area su cui sorgeva lo stabilimento Aero Caproni.
 
Valentino mi racconta, allora, che in quei mesi di fine ’44, in cui la guerra volgeva ormai al termine, le incursioni degli aerei inglesi e americani sulla Vallagarina si erano intensificate prendendo particolarmente di mira i ponti ferroviari di Rovereto e di Calliano.
Pur essendo poco più che un ragazzino, lui già lavorava all’Aero Caproni in via Maffei (futura via Brennero), non molto distante dalla stazione dei treni di Rovereto e più precisamente sull’area dove nel dopoguerra si sarebbero insediate le industrie Radi, Merloni e Ariston.
Il suo lavoro? Strettamente collegato al tempo di guerra: vigilare all’esterno dello stabilimento e avvisare i lavoratori in caso di allarme aereo.
«Infatti – chiarisce Valentino – i rumori assordanti all’interno dell’officina non avrebbero mai permesso al centinaio di operai che vi lavoravano, di udire il suono delle sirene, né tanto meno il rombo dei bombardieri in arrivo.»
 
Chiedo il motivo di tanto rumore.
«Ti spiego subito il perché: a Rovereto i tedeschi costruivano in gran segreto dei sottomarini tascabili. Un giorno io li ho visti di nascosto: erano lunghi 10, forse 15 metri, alti 3 all’incirca, molto panciuti, con una torretta che sporgeva dallo scafo.
«Seppi da chi vi lavorava che lì, alla Caproni, stavano studiando un nuovo sistema di propulsione senza elica che col vapore a pressione azionava una turbina, per cui a qualsiasi ora venivano fatti i collaudi di questi motori a reazione e allora erano fischi assordanti, da doversi tappare le orecchie.»
 
Accidenti, i famosi sottomarini ultra-veloci di cui si è molto parlato perché avrebbero potuto rovesciare le sorti della guerra?
«Non lo so, – mi risponde schietto Valentino. – So solo che eravamo tutti controllati: nessuno poteva entrare o sostare nei paraggi senza un particolare permesso. Di certo doveva trattarsi di un progetto molto avanzato, visto che spesso arrivavano in visita gruppi di numerosi ufficiali, sia tedeschi che giapponesi.
«Ma torniamo a noi – dice subito dopo – a quel 13 settembre: un giorno di sole, tiepido e fino ad allora tranquillo.»
 

Un successivo bombardamento su Rovereto, 16 gennaio 1945.
 
Sì, torniamo a noi, – aggiungo io, impaziente di conoscere il seguito. – Mi pare che l’allarme scattò verso mezzogiorno, o sbaglio?
«A dire la verità ce ne fu prima un altro, ma era stato breve. Stavolta mancavano pochi minuti alle dodici, quando per prima sentii la sirena della Montecatini, lontana parecchi chilometri in linea d’aria. Subito mi precipitai in fabbrica e diedi l’allarme.»
 
E poi?
«Beh, poi fu tutto un fuggi fuggi generale, come accaduto anche in altre occasioni. Ci eravamo quasi abituati, si correva verso il rifugio di via Sticcotta [oggi a lato del Mart - NdR], oppure ci si disperdeva nei campi, come consigliato dalle autorità locali.
«Uscito dallo stabilimento, io presi immediatamente la bicicletta e assieme all’amico Pierino Prosser, anche lui di Volano, ci infilammo in una stradina che attraverso orti e campagne portava verso il rifugio.
«In prossimità del campo sportivo [attuali giardini Perlasca - NdR] incontrammo tre ragazze di Villa Lagarina, o di Pomarolo, non ricordo bene, che lavoravano in un vicino colorificio, anche loro in fuga.
«Assieme, facemmo di corsa le poche centinaia di metri che ancora ci separavano dal rifugio.»
 
Ma gli aerei?
«No, no, ancora non si vedevano aerei: fino a quel momento urlavano solo le sirene di tutta la città – risponde, visibilmente teso nel ricordo di quei momenti. – Fu anche per quel motivo che lì per lì, pensando ad un falso allarme, decidemmo di non andarci a cacciare in un buco sotto la roccia, ma di proseguire verso la montagna, all’incirca sopra l’attuale centrale telefonica del Brione, non molto distante.
«Eravamo giovani e incoscienti…»
 
Allora è per quello che potesti assistere a ciò che accadde dopo?
«Già, e fu uno spettacolo che non avrei mai voluto vedere. Ci arrampicammo lungo un erto sentiero fino ad arrivare a metà di una collinetta, e fu allora che scorgemmo i bombardieri sbucare dalla montagna sopra il paese di Nomi.»
 
Accidenti!
«Credo fossero sette o nove aerei. Ricordo, invece, perfettamente, che uno di loro volava distante dalla formazione e leggermente più in basso, e aveva del fumo che usciva da un motore.
«Appena spuntati dalla montagna, avemmo un sobbalzo: la contraerea che era al bosco della città, quindi a poche centinaia di metri sopra di noi, iniziò a cannoneggiare.
«L’effetto delle esplosioni viste a distanza, era quello di piccole nuvolette scure attorno ai bombardieri.»
 

Fonte Biblioteca Civica «G. Tartarotti» - Rovereto.
 
E riuscirono a colpirne qualcuno?
«No. Nonostante il fuoco fosse continuo, loro proseguirono senza problemi. L’aereo di cui ti dicevo, però, si allontanò ancora rispetto agli altri mentre erano quasi sulla verticale di Sant’Ilario.
«Fu allora che udimmo uno strano rumore metallico, uno stridìo difficile da spiegare, simile ad un carro che corre su di una strada acciottolata, oppure ad una serranda abbassata con violenza.
«A quel punto Pierino gridò forte: Le vegn! Arrivano cosa? pensai per un attimo.
«Seppi più tardi che il mio amico si era già trovato sotto un bombardamento. Ma fu proprio questione di pochi secondi il rendersi conto che il bombardiere aveva sganciato le bombe.»
 

Fonte Biblioteca Civica «G. Tartarotti» - Rovereto.
 
Mio Dio - mi viene da mormorare.
«Fu una cosa terribile. Se non ci fossimo appiattiti in una buca, non sarei di certo qui a raccontarti questa storia - prosegue Valentino. In un momento fu l’inferno: lo spostamento d’aria piegò le piante del bosco come fuscelli, mentre una nuvola nera avvolse la campagna sottostante sollevando il terreno di molti metri. Sopra le nostre teste fischiavano schegge da tutte le parti.»
 

Fonte Biblioteca Civica «G. Tartarotti» - Rovereto.
 
In effetti, come riferisce Valentino, la cronaca di quella tragedia confermerà poi che in quella nuvola nera vennero distrutte le vite, straziati e mutilati i corpi (in alcuni casi letteralmente volatilizzati) di 18 persone, uomini, donne, bambini, madri e figli: tutta gente che si era allontana da casa e sparsa nei campi, paradossalmente proprio nel tentativo di mettersi al sicuro.
Tuttavia all’epoca vi fu solo un passaparola: nessun giornale e nessuna autorità parlò mai pubblicamente di quella sciagura, «per non deprimere lo spirito pubblico» si dirà.
Si celebrarono i funerali, si costruì nell’immediato dopoguerra pure un cippo alla memoria, ma forse proprio a causa di quella censura il ricordo del bombardamento di Sant’Ilario finì per perdersi nei mille rivoli dolorosi di una guerra da dimenticare.
La memoria, però, come sappiamo, può essere ritrovata e in tal senso il racconto di Valentino è preciso e determinante.
 
Continua così la cronaca di quei momenti.
«Dopo il boato, per un attimo ci fu un silenzio assoluto. Alzando frastornato gli occhi da quel nostro rifugio di fortuna, seguii il volo dei bombardieri che si allontanavano e vidi che quello che era rimasto indietro si stava ricongiungendo alla formazione, superando le montagne verso la Vallarsa.
«Subito uscimmo da lì e, proseguendo ancora per poche decine di metri, arrivammo sopra il luogo del bombardamento. Dall’alto si vedeva solo un caos indescrivibile di terra e vegetazione carbonizzata ancora fumante.
«Non si poteva distinguere nulla, né in quel momento avemmo sentore di quanto era successo. 
«Venimmo a saperlo solo più tardi.»
 
Infatti, quando le sirene smisero il loro lugubre suono, Valentino e gli altri tornarono al lavoro. La sera, alla fine del suo turno di sorveglianza, lui però volle ritornare sul luogo della tragedia.
«Ripetei lo stesso tragitto del mattino – racconta – e risalendo la collinetta del Brione mi trovai di nuovo a guardare dall’alto la scena del disastro.
«I corpi, o quello che era rimasto, ovviamente erano stati portati via. C’erano solo alcuni carabinieri che osservavano in silenzio un paesaggio infernale e un religioso che con un bastone frugava qua e là nel terreno, probabilmente alla ricerca di qualche resto.
«Nessuno poteva vedermi, ma non mi fermai molto a guardare quel triste spettacolo: me ne andai via poco dopo, sgomento.»
 
(Continua)
 
Maurizio Panizza
©Cronista della Storia
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