Gli «adultescenti» – Di Giuseppe Maiolo, psicanalista

Come prendersela con un adolescente che non ha voglia di crescere quando gli adulti li fanno vivere in un territorio fittizio, più virtuale e di fantasia che di realtà?

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Per capire i giovani di questo nostro tempo difficile, i loro linguaggi e quei comportamenti che spesso ci mettono in crisi, dovremmo domandarci dove sta andando la nostra società e gli adulti di riferimento.
Un bel libro di alcuni anni fa intitolato «La società degli eterni adolescenti» del poeta americano Robert Bly, metteva l’accento proprio su questo: viviamo sempre di più immersi in una società «orizzontale», che non ha un sopra e un sotto, un prima e un poi; senza più padri e figli, ma neanche nonni e nipoti, siamo diventati tutti fratelli e sorelle. O amici.
 
Quindi ci ritroviamo in una comunità di «adultescenti», dove si rimane eternamente giovani o veri e propri adolescenti che ancora ignorano le responsabilità, prima fra tutte quella di crescere e individuarsi.
Come pretendere allora che i ragazzi diventino grandi e maturi, se i modelli di riferimento hanno i tratti del Bonsai, cioè sono genitori in miniatura?
Come le piante Bonsai, non si sviluppano che in parte, perché costretti a vivere con poco terreno sotto i piedi non mettono radici profonde e restando piccoli, deboli e fragili.
Allora spesso hanno difficoltà ad affrontare e sostenere la funzione genitoriale e non di rado cercano che qualcuno li sollevi da questo compito.
 
Chiedono di frequente «Come devo fare?» oppure si aspettano una ricetta magica.
Faticano a mettersi in gioco come educatori perché non hanno attrezzi sufficienti o se li hanno non sanno usarli.
Con i figli adolescenti i «bonsai» si identificano totalmente con loro. Li scimmiottano e riproducono i loro atteggiamenti, il linguaggio, il modo di vestire.
Si travestono da compagnoni e fanno gli «amici» rinunciando a quel ruolo di guida che è una specifica funzione genitoriale.
 
Invece sono gregari, cioè stanno in secondo piano rispetto ai loro figli.
Li favoriscono sempre, li sostengono e li difendono a spada tratta, non danno limiti e non dicono cosa si fa o non si deve fare.
Non cercano con loro soluzioni e non gli insegnano e mediare, perché loro stessi non sanno negoziare o trovare compromessi.
Non li attrezzano quindi a compiere scelte in autonomia. Piuttosto chiedono ai propri figli consigli e suggerimenti e invertono i ruoli.
Così, a guardarli, non si capisce chi sia genitore e chi figlio.
Sono quelli ad esempio che domandano come si devono comportare con la nuova compagna o quale abito è meglio mettere per incontrare il partner appena conosciuto.
 
E poi i bonsai fanno le vittime. Fanno pesare le fatiche e i sacrifici che hanno dovuto sostenere e alimentano i sensi di colpa dei figli paralizzando le loro energie e rendendogli la vita difficile da affrontare.
Con che spirito infatti si può pensare a se stessi se vi è in casa qualcuno che sta male e soffre per noi?
 
Un genitore bonsai è un eterno fanciullo incapace di autorevolezza. Un po’ Peter Pan è un po’ Narciso vanitoso, questo genitore fanciullo o adultescente, si rapporta con la realtà in modo infantile e non offre ai propri figli un riferimento stabile.
Può essere umorale e oscillare in modo incoerente tra quello che vorrebbe e quello che dovrebbe essere.
Vola o sorvola sulla realtà, perché non sa prenderla in considerazione e impedisce che i figli crescano capaci di assumersi quote di responsabilità sempre maggiori, perché lui stesso non lo sa fare.
 
E allora come prendersela con un adolescente che non ha voglia di crescere quando noi tutti stiamo facendo vivere questi giovani su quell’«isola che non c’è» che è un territorio fittizio, più virtuale e di fantasia che di realtà?
Come accusarli di scarso impegno e immaturità se noi grandi per primi ci sentiamo a nostro agio a rimanere nella terra «dell’adultescenza»?
 
Giuseppe Maiolo
www.officina-benessere.it