La comunicazione dei nativi digitali – Di Giuseppe Maiolo
Se la condivisione si è ridotta ad un click, la sfida è educativa: il rischio è che le nuove generazioni digitali finiscano in una specie di «autismo» ambientale
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Fino a 12 ore al giorno connessi in rete. Secondo alcune ricerche, sono i nuovi adolescenti di questo nostro tempo digitale.
Le loro comunicazioni passano ormai in maniera quasi esclusiva attraverso i Social o WhatsApp e il fenomeno, al di là di ogni considerazione, si annuncia come un epocale cambiamento dei comportamenti e delle modalità di interazione.
I nativi digitali, come li ha chiamati lo studioso americano Marc Prensky, benché abbiano la possibilità di sviluppare più ampie competenze mentali e capacità creative e di effettivo multitasking, rischiano d’altro canto più fragilità e vulnerabilità emotiva.
La comunicazione digitale, ad esempio, non trasmette emozioni e invece assottiglia in maniera preoccupante l’empatia, che è la capacità di sentire dal di dentro quello che prova l’altro.
Un giovane che sta su Facebook oggi è convinto non solo di avere degli amici «veri» che conosce, ma chattando ritiene anche di conversare con un'altra persona come accade nella vita reale.
Noi invece sappiamo che la comunicazione vera è fatta di interazioni verbali e non verbali, che trasmettono stati d’animo e sentimenti e, insieme ai messaggi gestuali o al tono della voce, fanno arrivare all’altro quello che proviamo, il nostro spazio affettivo ma anche il modo con cui ascoltiamo gli altri e la realtà circostante.
Ora, in questo nostro tempo tecnologico, nella comunicazione manca (e mancherà sempre di più) la percezione di quello che si prova.
Assente il corpo fisico con le sue rappresentazioni, facciamo fatica a cogliere i nostri vissuti emotivi e quelli che attraversano una conversazione.
Non siamo più in grado di nominare le nostre sensazioni, perché abbiamo, un po’ tutti ormai, poche parole per dire emozioni e sentimenti.
Le abbiamo sostituite in modo massiccio da quelle improbabili faccine che allagano gli infiniti SMS o le conversazioni sui Social.
Così i nostri bambini fanno fatica a dire se sono tristi o arrabbiati, felici o impauriti. Abbiamo delegato alle emoticon il compito di parlare per loro!
Il rischio è che questa generazione di giovani potrebbe domani essere quella di adulti profondamente incapaci di comunicare sul piano affettivo, e viversi a fondo i sentimenti.
Peggio ancora potrebbero averne paura.
La freddezza emotiva e l’indifferenza sono la naturale conseguenza di una comunicazione sincopata e nevrotica, incapace di esprimere sentimenti e partecipazione affettiva.
La condivisione vera ormai si è ridotta ad un click!
La sfida allora, è prima di tutto educativa.
Per sostenere lo sviluppo psicologico e relazionale dei nuovi adolescenti, è fondamentale che i migranti, cioè gli adulti, sappiano capire il loro modo di comunicare e valorizzare ciò che è positivo di questo mondo tecnologico.
Senza demonizzare la comunicazione dei nativi digitali è importante conoscere a fondo questo nuovo codice.
Servirà per essere in relazione con loro senza rinunciare a trasmettere la lingua perduta delle emozioni, quella che permette entrare in contatto e immedesimarsi con l’altro.
Fondamentale, se non vogliamo far finire le nuove generazioni digitali in quella specie di «autismo» che caratterizza chi se ne sta collegato per un tempo indefinibile alla realtà virtuale.
Giuseppe Maiolo
www.officina-benessere.it
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