«Mal d’Africa»/ 2: Nuove frontiere del terrorismo – Di Andrea Sperini
La recente evoluzione del jihadismo, che assume i caratteri propri della criminalità organizzata, fa del continente africano il fronte emergente del terrore
Pubblichiamo il secondo e ultimo intervento sul terrorismo internazionale, scritto stavolta da Andrea Sperini per «Polizia Moderna», che dipinge il Sahel a tinte rosse. Il Sahel, fascia di terra prevalentemente desertica che taglia in due il continente africano, si estende dalle coste atlantiche della Mauritania fino al Mar Rosso, è delimitato dalla costa del Sudan e segna il confine tra l’Africa mediterranea e quella sub-sahariana, fungendo così da spartiacque tra importanti differenze culturali. Una terra romantica che si tinge del blu dei tuareg, ma che è attraversata dalle rotte dei traffici illeciti di ogni tipo. Proprio qui, secondo l’Onu, si manifesta un nuovo tipo di terrorismo con caratteristiche diverse da quello classico conosciuto finora, perché l’affarismo non è più subordinato all’ideologia della lotta contro l’infedele. I gruppi terroristici più strutturati, come Al-Qaeda nel Maghreb islamico e Al-Mourabitoun, una frangia da esso scissa, hanno un controllo così capillare di questo territorio da riuscire a finanziarsi attraverso il passaggio dei corrieri della droga colombiana. Secondo stime dell’Undoc, agenzia Onu che si occupa del contrasto al traffico di droga e alla criminalità organizzata, è proprio attraverso il Sahel, ora rotta privilegiata della cocaina colombiana destinata all’Europa, che transitano infatti centinaia di tonnellate di stupefacenti. Un’opportunità unica per i gruppi terroristici qui operanti che si arricchiscono occupandosi del trasporto e garantendo la sicurezza del carico di droga nei territori da loro controllati. Traffico di armi e di rifiuti tossici, sequestri di persona e tratta di esseri umani sono le altre attività illecite che qui hanno luogo. |
Al-Qaeda nel Maghreb islamico, Ansar al-Sharia, Al-Mourabitoun, Boko Haram, Ansaru e Al-Shabaab sono solo alcune tra le più importanti sigle che identificano i gruppi terroristici che operano attivamente in varie parti dell’Africa, dalle aree desertiche alla costa atlantica fino all’Africa sub-sahariana, alla Nigeria, al Camerun, alla Somalia e al Kenya.
La situazione africana, storicamente fragile e precaria, ha assunto, negli ultimi anni, ulteriori e importanti caratteri di criticità. All’instabilità politica della fascia maghrebina, eredità di un tentativo laico dell’incompiuta rivoluzione culturale, la cosiddetta Primavera Araba, si affianca una nuova tendenza del terrorismo che pervade gran parte del continente africano.
L’insuccesso politico delle recenti e condivise rivoluzioni nei Paesi della fascia dell’Africa mediterranea ha contribuito all’instaurarsi di un caos geopolitico, che ha riacceso situazioni sopite, ma mai risolte.
Libia, Egitto e Tunisia hanno visto il riaccendersi di conflitti interni, di carattere politico-religioso, richiamando vecchie situazioni che ripercorrono quanto accaduto decenni fa in Algeria, dove partiti o gruppi terroristici di matrice islamista si opponevano al governo centrale.
Il recente rapimento di due operai italiani nella Libia orientale da parte di un gruppo armato, seguito fortunatamente da un rapido rilascio degli ostaggi, e gli attacchi terroristici al Cairo alla fine di gennaio, ben rappresentano una tendenza di instabilità e di insicurezza dilagante.
È proprio l’Egitto a rappresentare oggi delle marcate criticità che oltre ad interessare l’Africa potrebbero destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente con il quale confina.
L’attentato di Taba, penisola del Sinai, avvenuto lo scorso 16 febbraio ai danni di turisti sud coreani, richiama alla memoria un analogo avvenimento che nel 2004 ha contato, tra le altre vittime, anche due donne italiane.
È evidente come quest’ultimo attentato, rivendicato dal gruppo terrorista egiziano Ansar Jerusalem (Difensori di Gerusalemme), rientri in una logica di lungo periodo volta a distruggere l’economia del turismo egiziano; una strategia inaugurata con la strage di Luxor del 1997 che vide la morte di oltre sessanta turisti e continuata nel 2005 con attentati sul Mar Rosso nelle località Sharm el-Sheikh e Dahab.
Tuttavia attualmente è a sud che si sta evidenziando una situazione che rischia di aggravare una già precaria stabilità in gran parte del continente africano, divenuto centro d’interesse per le potenze economiche mondiali.
Un «effetto domino» iniziato con la caduta del regime libico che ha contribuito, secondo una logica di causa- effetto, a fare in modo che durante la guerra del Mali, nata da un impulso indipendentista del nord del Paese, si rafforzassero tendenze e nuove manifestazioni del terrorismo di matrice islamica.
Queste tendenze si sono collegate ad altri storici gruppi terroristici operanti in Somalia, Nigeria e negli stati con essi confinanti, facendo in modo che si creasse una sorta di «internazionalità del terrore», che pone l’Africa in una condizione di estrema centralità rispetto al fenomeno del terrorismo internazionale.
Inoltre, la perdita d’interesse per i fronti irakeno e afghano, dal 2001 al 2010 teatri privilegiati della lotta armata islamica (jihad) contro il mondo occidentale, ha agevolato il rientro in patria dei vari terroristi africani impegnati in quelle aree che, portando al seguito un rinnovato bagaglio di esperienza militare, si sono ricollocati in nuovi o già strutturati gruppi terroristici.
Questi mujaheddin di differenti nazionalità e già compagni di lotta, in larga parte maghrebini, ma anche mauritani, kenioti e nigeriani hanno creato una rete di contatti che ha favorito, negli ultimi anni, un comune disegno strategico volto a instaurare uno squilibrio geopolitico all’interno del quale operare per perseguire i propri differenti obiettivi.
È in questo contesto estremamente variegato che operano gruppi terroristici, ognuno in una propria area di competenza: Aqmi (Al-Qaeda Maghreb islamique) e Al-Mourabitoun nell’Africa mediterranea e nel Sahel, Boko Haram e Ansaru in Nigeria e Camerun, Al-Shabaab in Somalia e Kenya.
I terroristi, approfittando della debolezza politica degli stati o della loro totale assenza, esercitano una vera e propria sovranità territoriale, una esperienza di governo, seppur illegittima e primitiva, ma significativa e, in alcune realtà particolarmente disagiate, è addirittura presente una politica sociale finalizzata all’acquisizione di consenso da parte della popolazione locale.
Il capillare controllo del territorio permette loro di porsi come interlocutori della popolazione. Si delinea una nuova caratteristica: l’uscita dalla clandestinità. In effetti, non si ha la necessità di nascondersi in un territorio del quale si ha il completo controllo, potendo avviare, contestualmente, una parallela politica sociale, creata grazie agli introiti economici derivanti dai traffici illeciti.
I proventi sono legati ad attività illecite che vanno dall’ausilio al traffico internazionale di stupefacenti, principalmente cocaina colombiana e messicana che giunge in Africa a bordo di navi o aerei, al sequestro di persona a scopo di estorsione, fino all’appoggio alle attività illegali di smaltimento di rifiuti tossici.
Dunque, se l’Africa mediterranea, intendendo con questa designazione i Paesi della fascia del Maghreb, Libia e Egitto, vede un terrorismo locale che opera secondo dei canoni classici, immediatamente a sud nel Sahel, nel Corno d’Africa e in Nigeria, si assiste a una evoluzione strategica del fenomeno e a un salto di qualità che in prospettiva dovrebbe porre forti preoccupazioni.
Gruppi ben strutturati e con una importante tradizione storica come Al-Qaeda Maghreb islamique e frange a esso affiliate operano nell’area del Sahel; più a sud, in Nigeria, il gruppo terrorista Boko Haram mette in difficoltà il governo nigeriano conducendo una lotta senza tregua anche nei confronti dei cristiani ed esercitando un vero e proprio controllo del territorio nell’area nord dello stato.
Inoltre, questa situazione è destinata a confondersi sempre di più in seguito all’emergere di un nuovo gruppo terrorista rivale, Ansaru, fortemente legato alle vecchie logiche di Al-Qaeda.
A est, In Somalia, opera, invece, Al-Shabaab, che continua a tenere in scacco il governo provvisorio nazionale pur espandendo la propria influenza in Kenya e Uganda.
Sebbene la matrice religiosa sia una costante di tutti i gruppi terroristici, in alcuni casi è possibile affermare che il movente ideologico sia solo il mezzo per legittimare azioni criminali e promuovere traffici illeciti.
Terrorismo e affarismo illecito si compenetrano, originando delle dinamiche difficilmente gestibili perché non più ben definite.
Basti pensare al reclutamento dei terroristi islamici: mentre un tempo il «guerriero di Allah» era accuratamente selezionato, religiosamente indottrinato e abilmente addestrato secondo un percorso più spirituale che militare, oggi assistiamo ad arruolamenti anche forzati all’interno dei campi profughi o dei villaggi, nelle aree controllate dai battaglioni di terroristi.
Questo cambiamento strutturale del terrorismo di matrice islamica richiede una differente risposta da parte della strategia antiterrorismo.
Risulta chiaro che una politica di assistenza sociale debba completare la strategia militare e di polizia perché questa da sola non basterebbe più a reprimere un fenomeno così radicato nella struttura sociale degli stati africani.
Bisogna dare una risposta culturale e politica per dirimere i tratti di una convivenza tra terroristi e popolazioni povere poiché queste ultime riconoscono come «stato», quindi come potere centrale, chiunque sia in grado di garantire loro una minima garanzia di vita e di sussistenza.
Questa dovrà essere la sfida della Comunità internazionale e delle organizzazioni a essa collegate per evitare che la tendenza criminale di un terrorismo in evoluzione possa portare a situazioni, già oggi complesse e pericolose, del tutto ingestibili nel lungo periodo.
Andrea Sperini
Polizia Moderna - Marzo 2014
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