«Generazione Cloud - Essere genitori ai tempi di Smartphone»
Gli autori Michele Facci, Serena Valorzi e Mauro Berti hanno presentato la prima guida italiana completa sui pericoli dell'era digitale
Una folla vera e propria è andata ad ascoltare gli autori del libro «Generazione Cloud - Essere genitori ai tempi di Smartphone e Tablet», Michele Facci, Serena Valorzi e Mauro Berti, che non solo hanno presentato il volume, ma hanno anche anticipato i contenuti alle 150 persone presenti (c’erano anche Questore e assessori) sui pericoli rappresentati dalla Rete per una generazione che sta crescendo «formata» dal mondo virtuale di Internet.
I contenuti li abbiamo già presentati anche noi in un articolo precedente (vedi), ma oltre a suggerire anche noi la lettura di questo libro (Mauro Berti è ispettore della Polizia Postale di Trento), allarghiamo il tema fornendo ulteriori spunti.
La rete consente al navigatore la formulazione di una identità tutta sua, tutta nuova, fatta su misura di quello che vorrebbe essere e non di quello che è.
Non ci sarebbe niente di male in questo, dato che lasciare ogni tanto la realtà per navigare nei sogni può rappresentare una soluzione di continuità alla vita quotidiana.
Ma questo modo di uscire dalla propria personalità può portare l’individuo a anche sbilanciarsi verso il terribile mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie che, come si sa, è popolato spesso da Stregatti che dopo una breve apparizione scompaiono lasciando solo il sorriso sardonico.
La Rete consente poi ai cibernauti l’illusione di poter agire nell’anonimato, fenomeno questo che alimenta la fuga dalle responsabilità.
La sindrome della lettera anonima è sempre in agguato. L’idea di poter fare quel che si vuole senza doverne sopportare le conseguenze rende la persona priva di una soglia morale chiara e netta.
Un esempio per tutti. Il nostro giornale online dà la possibilità a tutti di scrivere un commento a calce di ogni articolo. Noi pubblichiamo solo quelli accompagnati da una email verificabile, per cui spesso ci troviamo costretti a non pubblicare il commento. L’IP ovviamente ci consente sempre la tracciabilità dell’autore, ma non l’identità in chiaro.
In rete tutto questo non esiste. Gli articoli, che pubblichiamo anche su Facebook, ricevono centinaia di commenti, per la semplice ragione che chi li pubblica “non sta scrivendo a un giornale”.
In altre parole, gli atteggiamenti espressi davanti a una testata o davanti a un social network sono distanti miglia l’uno dall’altro
Perfino qualche collega giornalista usa due modi diversi di scrivere, a seconda che si tratti di un giornale o di un social network.
Dobbiamo però prendere atto che la generazione che sta crescendo sarà comunque figlia di Internet così come la Beat Generation è stata figlia dei fiori. Non solo non è possibile impedirlo, ma sarebbe certamente ingiusto.
Ma allora cosa si può fare, oltre a dotare i genitori di mille occhi? Beh, cominciamo con la decisione di regolare un po’ tutta la problematica.
Sappiamo perfettamente che non è possibile controllare il sistema, ma sappiamo anche che ci sono infiniti modi per tenerlo sotto controllo.
Il mondo civile deve dotarsi di regole che disciplinino anzitutto i siti che danno notizie. La responsabilità civile e penale deve essere estesa a tutti coloro che in qualche modo creano informazione. La diversa credibilità fornita da una testata iscritta in tribunale e quella di un blog tout-court è abissale ed è un filtro fondamentale.
Molti riusciranno a farla franca in barba ai mille controlli messi in atto, ma si deve pur cominciare a nutrire la cultura per cui si deve saper distinguere sempre il bene dal male.
Poi la gente seguirà la propria soglia culturale e morale, ma quantomeno avremo messo degli strumenti per coloro che avvertono il pericolo nell’aria.
G. de Mozzi
Commenti (0 inviato)
Invia il tuo commento