Calabroni e vespe sono protagonisti della tipicità dei vini
Importante scoperta pubblicata su PNAS: i lieviti «vivono» nei mesi freddi nell’intestino di questi insetti

Vespe sociali e calabroni sono protagonisti della tipicità di birra, vino e pane.
Nell’intestino di questi insetti, infatti, «vivono» i lieviti responsabili delle fermentazioni naturali vinarie e panarie caratterizzandone la tipicità.
E’ questo, in estrema sintesi, il «cuore» della ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista statunitense PNAS – Proceedings of the Natural Academy of Sciences, realizzata da un gruppo di ricercatori della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige in collaborazione con l’Università di Firenze ed il CNRS di Montpellier.
L’importanza di questo lavoro è racchiusa nel fatto che, per la prima volta, viene chiuso il ciclo ecologico dei lieviti responsabili delle fermentazioni del vino, della birra e del pane.
Fino ad oggi, infatti, il ciclo vitale di questi lieviti era noto solo durante la fase di produzione e fermentazione di questi prodotti.
Era ad oggi ignoto dove questi micro-organisimi vivessero quando le fermentazioni non ci sono, ovvero nei mesi invernali e primaverili.
Questa ricerca dimostra che questi lieviti «vivono» nell’intestino dei calabroni e delle vespe sociali. Questi insetti rappresentano quindi il loro vettore più importante.
«E’ sorprendente – spiega Duccio Cavalieri (foto), coordinatore del Dipartimento di biologia computazionale e tra i ricercatori che hanno partecipato a questo lavoro – come il microbiota, ovvero l’insieme delle specie fungine dei calabroni, nel mese di settembre contenga le stesse specie che si trovano sulla superficie delle uve all’inizio della fermentazione vinaria. Questi lieviti «trascorrono» un periodo del loro ciclo vitale all’interno dell’intestino di vespe sociali e calabroni, al di fuori dell’ambiente di fermentazione. Poi – prosegue Cavalieri – quando i frutti maturano, questi insetti sono attratti dal loro odore, li rompono grazie ai loro potenti apparati mandibolari e inoculano questi micro-organismi al loro interno.»
Questa indagine si lega ad una ricerca iniziata nel 1998 e chiude, di fatto, il ciclo ecologico dei lieviti che era ancora avvolto dal mistero.
Per arrivare a questo risultato è stato anche sequenziato il genoma di questi lieviti trasportati dai calabroni ed è stato possibile individuare i ceppi dei lieviti in periodi dell’anno in cui non erano mai stati isolati ovvero da dicembre a febbraio.
La scoperta più interessante è avvenuta confrontando, a livello genomico, i ceppi dei calabroni con altri ceppi isolati da uve e fermentazioni naturali delle aree d’isolamento degli insetti, rispetto a una collezione di oltre 400 ceppi isolati da ambienti naturali e industriali in Francia, Stati Uniti, Cile, Nuova Zelanda e Giappone.
L’analisi ha indicato come i ceppi isolati da vespe sociali, calabroni, uve e vini di un determinato areale fossero maggiormente correlati fra loro rispetto a ceppi di areali diversi, identificando una biodiversità microbica caratteristica di una vigna o di una regione.
«Oggi - dice Cavalieri - l’utilizzo della genomica e della bioinformatica consente di identificare un lievito o un microorganismo isolato da un ambiente naturale e di confrontarlo con altri microorganismi di altre parti del mondo «semplicemente» confrontando la sequenza di geni marcatori, esattamente come avviene per l’uomo per analisi di paternità.»
E’ emerso, dunque, che questi insetti – calabroni e vespe sociali – sono protagonisti della tipicità dei prodotti.
Il calabrone infatti porta con sé le caratteristiche di un certo areale rispetto ad un altro e questo garantisce il mantenimento di una ricchezza indispensabile, ovvero la biodiversità dei micro-organisimi che sono fondamentali per la tipicità dei prodotti delle fermentazioni quali il vino e la birra.
«Questa scoperta – conclude Roberto Viola, direttore del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele - apre la strada ad altre ricerche che intendano capire come questo microcosmo di micro-organismi possa essere associato alla tipicità dei prodotti, e di come sia importante conoscerlo, per proteggerlo, conservarlo e renderlo disponibile alle attività umane.»
Lo studio è stato condotto da tre ricercatori della Fondazione Mach Duccio Cavalieri, Carlotta De Filippo e Roberto Viola, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia Animale e Genetica e di Farmacologia dell’Università degli Studi di Firenze (Irene Stefanini, Leonardo Dapporto, Stefano Turillazzi, Mario Polsinelli, Antonio Calabretta, Monica Di Paola e Paolo Capretti) e con il CNRS di Montpellier (Jean-Luc Legras).
Info http://www.pnas.org/content/early/2012/07/26/1208362109.abstract http://goo.gl/dbe0Q