La «cartolarizzazione» della Whirlpool di Spini di Gardolo

Un'operazione da tenere certamente sotto controllo, ma non è molto diversa da quella fatta dallo Stato Italiano quando ha venduto i beni immobiliari. L'assessore provinciale all'industria Benedetti, comunque, non nasconde la propria preoccupazione

L'Affare Whirlpool, per quanto ci è dato di sapere in questo momento, sembra una normale operazione di cartolarizzazione voluta da un'impresa multinazionale per ragioni puramente finanziarie. È comprensibile la preoccupazione dei dipendenti, perché ogni cambiamento produce inevitabili assestamenti e in più è sintomatico di altre situazioni non visibili, o foriero di successivi aggiustamenti di rotta. Ma rimane un'operazione che ha sempre una sua logica precisa, prodotta ovviamente a valle di accurati conteggi effettuati dall'ufficio finanziario del Gruppo con il sostegno di poderosi consulenti internazionali.

Per spiegare meglio l'operazione, va premesso che - contrariamente agli originali concetti di «economia aziendale» - i fattori del reddito d'impresa non sono più «il fondo, il capitale e il lavoro» della prima metà del secolo scorso. Il post-industriale ha anzi insegnato che il reddito deriva da un'acuta commercializzazione delle attività imprenditoriali indipendentemente da quanto queste siano in grado di generare reddito. La vecchia concezione d'impresa, per cui si doveva «lavorare sul proprio», è superata da tempo per due ragioni. La prima è che il reddito da immobile è diverso da quello di impresa, cosa che può comportare forti stress di carattere gestionale. La seconda è che i rischi vanno frazionati e pertanto è giusto che l'immobile sia proprietà di una immobiliare e che l'impresa sia proprietà dell'imprenditore. Se nelle piccole e medie imprese il proprietario dell'una e dell'altra sono generalmente la medesima persona (fisica o giuridica), nelle medie e grandi imprese le proprietà sono frazionate al punto da cancellare istanze di concorrenza interna.

Precisato questo, se da una parte vediamo il piccolo imprenditore che ha separato «i muri» dalle attività, dall'altra assistiamo (ma già da una decina d'anni) alla cartolarizzazione vera e propria dei cespiti. L'esempio classico che si può addurre per rendere l'idea è la serie di operazioni effettuate da una nota catena di grandi magazzini veneta che nel corso degli anni '90 ha messo sul mercato tutti i propri stabili. Qual era il vantaggio lo abbiamo detto sopra. L'immobile deve rendere comunque e, di fronte a questo principio, l'essere padroni di casa o in affitto non cambia nulla. Non produrre reddito sufficiente a ripagare gli immobili fa consigliare di chiudere l'attività e affittare lo stabile a qualcuno che ne paghi l'affitto.
Partendo da questa logica, per cui l'essere proprietari o in affitto - appunto - non cambia nulla, si arriva al passo scientifico della «cartolarizzazione». Non ci vuole molto, basta mettere gli economisti al lavoro.

E infatti scienza e mercato hanno portato questo fenomeno verso due direzioni diverse che alla fine si incontrano nel rapporto tra il valore dell'immobile e la sua rendita. Ci spieghiamo meglio.
Se uno stabilimento è di 10.000 metri quadrati, potrebbe valere, ipotizziamo, 10 milioni di euro. Ma chi lo dice, il mercato? La distinta base dell'impresa che l'ha costruito? Il ragioniere che redige il bilancio? Il fisco? Un po' di tutto ciò. Facciamo due conti che, sia ben chiaro, riportiamo solo a titolo di esempio.
Un prestito di 10 milioni di euro potrebbe costare il 5% sul mercato finanziario tradizionale. Se invece si prendesse in affitto un immobile da 10 milioni di euro non costerebbe più del 3%. Se così fosse, va da sé che converrebbe vendere il proprio stabile ed entrarci in affitto.
Ma ovviamente non è così semplice, perché Il finanziere disposto ad investire nell'immobile fa il conto opposto. Se acquistasse BOT, quei 10 milioni mi renderebbero il 4% e senza rischi. E quanto vale il rischio? Ma, anzitutto, qual è il rischio? Beh, che l'affittuario chiuda o che prima o poi se ne vada. Allora interviene la prima variabile del contratto, che è la garanzia della durata, ovviamente coperta da fideiussione. La seconda è che l'immobile può rendere anche più del 4, del 5 o del 6%, a seconda di quanto si voglia vendere l'immobile. E a questo punto nascono le trattative, per cui il prezzo di vendita nasce dalla valutazione dell'immobile, ma si conclude sulla rendita finanziaria. Perché la logica è «più lo si vende bene e più costa di affitto». L'equilibrio va trovato lavorando su questi elementi.

Per tornare alla Wirlpool, confermando quanto detto in premessa che non ne sappiamo abbastanza, gli elementi a favore sono tutti da spendere nel contratto. Le garanzie offerte dal venditore (che in questo caso è una multinazionale da 20 miliardi di dollari di ricavi all'anno) ci sono, quindi basta mettere al lavoro una squadra di legali e commercialisti per garantire le parti.
Il prezzo dello stabilimento, l'abbiamo visto, viene stabilito nel raccordo dei fattori finanziari di cui abbiamo parlato.
Per arrivare invece a capire meglio la reale volontà delle parti, sarebbe necessario conoscere i termini dell'accordo. Una breve durata della garanzia d'affitto, ad esempio, sarebbe assai sospetta. Un valore troppo alto dell'immobile, a fronte di una redditività finanziaria insufficiente, darebbe pure adito a sospetti. La natura dell'acquirente sarebbe anche significativa di varie ipotesi consequenziali. Anche il fatto che l'acquirente ne faccia un leasing per finanziarsi a sua volta, sarebbe incongruente a meno che tra venditore e acquirente non ci fossero accordi di opportunità su scala internazionale.

Facendo qualche telefonata in merito, ci risulta che all'acquisizione dell'immobile «a rendita» (cioè non lease-back né long-lease), sarebbe interessato anche un non meglio definito acquirente australiano che, rispetto a quello localizzato, vorrebbe un affitto garantito per una durata doppia. Ovviamente questa seconda soluzione sarebbe più sicura per l'investitore e più redditizia per il venditore. Si parla di 55 milioni di euro di transazione che, in mano ad un gruppo finanziario «furbo», potrebbero significare una rendita dai 3 ai 4 milioni di euro all'anno, ma che di fronte ad una forte capacità negoziale dell'azienda potrebbero scendere anche sotto i 2 milioni all'anno.

Certamente in tutto questo c'entrano molto le condizioni di base nelle quali la trattativa si sta muovendo. In un territorio così particolare come il Trentino, che ha scarsità di terreno disponibile ma pur sempre necessità di insediamenti industriali, il proprietario dell'immobile non ha certamente problemi di collocamento in nessun caso. Anzi, un cambio di destinazione farebbe certamente gola agli interessi del proprietario.
Un territorio amministrato da un'Autonomia così ben quotata dai rating internazionali e la sicurezza che essa rimarrà tale nel tempo, possono rendere doppiamente appetibile l'affare.
Insomma, è un po' come se la Provincia autonoma di Trento fosse una garanzia per il resto del mondo.
Ma presenta anche un rovescio della medaglia per cui le plusvalenze patrimoniali arricchiscono il fisco e non gli azionisti, aspetto questo che può sicuramente incidere molto sul piatto della bilancia al momento della scelta per la cartolarizzazione.

Questo dovrebbe tranquillizzare i nostri Amministratori provinciali. I quali devono ovviamente tenere sotto controllo l'operazione, anche perché 700 posti di lavoro sono una forte percentuale della nostra gente impiegata nel privato. Ma non devono dimenticare che essi rappresentano per l'azienda multinazionale solo l'1% dei dipendenti totali, mentre la realizzazione dell'operazione immobiliare ridurrebbe l'indebitamento consolidato del 10%.
Sentito da noi, l'Assessore provinciale all'Industria Marco Benedetti ci ha confermato che l'operazione sarebbe già evvenuta con l'immobiliarista trentino Pisetta, «o con chi dietro di lui», anche se la firma del contratto non è stata confermata. Benedetti non nasconde la sua preoccupazione sull'operazione, che però «non conosce nei dettagli». Ritiene che il contratto di affitto avrebbe la durata di «quattro anni più due» e questo, come abbiamo detto, non sarebbe un indice positivo.
Ma è presto per aggiungere altro. Lunedì 17 l'Assessore avrà un incontro con l'azienda e si saprà di più, anche se Benedetti non si aspetta di conoscere i dettagli che noi riteniamo importanti per valutare le reali intenzioni del colosso multinazionale.

L'acquisto dell'immobile da parte dell'Agenzia per lo Sviluppo, ventilata da qualche parte del mondo politico, invece, sembra una cosa fuori discussione, impercorribile, d'altri tempi.