Olimpiadi invernati del 2024: il Governo getta la spugna
La dicotomia di vedute di Lega e 5 Stelle ha portato ancora una volta a uno stallo di idee: la parola passa alle regioni Lombardia e Veneto
Il primo a dire di no alle Olimpiadi del 2020 è stato il presidente del Consiglio Mario Monti.
Poi fu la volta del sindaco di Roma Virginia Raggi, che rifiutò quelle del 2024.
In entrambi i casi il Paese rimase sconcertato. Ma mentre il presidente del Consiglio Monti aveva l’«esimente» di dover far quadrare i conti dello Stato sic et simpliciter, Virginia Raggi aveva detto no a una (improbabile) cementificazione di Roma e all’arricchimento indebito dei soliti furboni (senza far nomi, s'intende). Poi però ha detto sì alla cementificazione legata al nuovo stadio.
In realtà, nessuno dei due aveva fatto i conti con l’impulso che un investimento del genere avrebbe dato all’intero Paese, con l’aggravante per la Raggi che forse le Olimpiadi avrebbero quantomeno obbligato la Capitale a sistemare le strade.
Adesso ci troviamo di fronte a un altro dilemma, le Olimpiadi invernali del 2026.
Come si ricorderà, Innsbruck aveva detto no. Una bocciatura peraltro che non faceva una piega perché il no era uscito da un referendum popolare consultivo vero e proprio.
Kompatscher, cogliendo la palla al balzo, aveva avanzato la candidatura dell’Alto Adige, magari coinvolgendo alcune stazioni turistiche nord tirolesi.
E allora si era fatto avanti anche Rossi, precisando però che la candidatura sarebbe stata valida solo di fronte a un utilizzo esclusivo delle strutture già esistenti.
A quel punto si fece avanti Cortina, che propose una candidatura allargata, cioè che coinvolgesse un po’ tutte le aree delle popolazioni ladine. Quindi anche le strutture presenti in Trentino a in Alto Adige vicine a Cortina.
Il nostro giornale propose allora le «Olimpiadi invernali della Provincia Virtuale di Ladinia», comprendendo dunque le aree del Bellunese, del Trentino e dell’Alto Adige.
Ma nel frattempo si sono fatte avanti anche Torino e Milano.
Ed ecco che il Coni si è dovuto destreggiare fra tre candidati uno più titolato dell’altro, giungendo alla soluzione salomonica: «Si faccia una Olimpiade invernale suddivisa fra Cortina, Milano e Torino».
In verità, la triade non suonava molto bene. E Milano precisò che sarebbe rimasta della partita solo se fosse stata capofina dell’intera Olimpiade. Una strada percorribile? Forse che sì, forse che no.
Il tutto però era stato andato avanti senza fare i conti con l’oste: il Governo.
Il quale, essendo nato da un matrimonio di convenienza e non d’amore dove, ha trovato anche qui le posizioni opposte la Lega e i 5 Stelle.
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, alla fine delle consultazioni con i parlamentari di maggioranza, ha gettato la spugna.
«La proposta della candidatura a tre non ha il sostegno del governo ed è morta qui, – ha ammesso. – È un mio fallimento personale. Ho lavorato per una soluzione condivisa, ma non ho sentito l’atmosfera giusta tra i rappresentanti delle città coinvolte.»
Ma la faccenda non è finita col fallimento di Giorgetti. Milano vuole ancora le Olimpiadi, così come le vuole Cortina.
Se mai si farà qualcosa, però, la si dovrà fare senza aiuti statali.
Il che vuol dire che si potrebbe ancora giungere a una conclusione positiva, ma dipende molto dalla capacità che avranno in tal senso gli uomini che dirigono le regioni Lombardia e Veneto, Fontana e Zaia, fra l'altro entrambi leghisti.
Quindi staremo a vedere cosa succederà.
Resta però stupefacente la distanza che c’è tra i 5 Stelle e i Leghisti, dove i primi sono la pietra miliare del NO (compreso il no al lavoro di TAV e TAP) e i secondi che ragionano e agiscono con la logica del Nord (sì a qualsiasi cosa che porti lavoro).
GdM