520 anni fa la Battaglia di Calliano. Data celebrata per 432 anni
Da allora, ogni anni veniva organizzata una «Contesa arcieristica» tra le contrade di Trento. Poi, nel 1919, con l'annessione del Trentino all'Italia, venne sospesa. Otto anni fa la tradizione è stata recuperata. Ecco le cronache della epica battaglia, così come le narrano gli storici del Palio
Venezia in guerra contro il
Tirolo
Der Krieg Venedigs gegen Tirol
Correva l'anno 1405, quando la Repubblica marinara di Venezia con
vari stratagemmi, appoggiò la rivolta (1407) del nobile capitano
Rodolfo Belenzani a Trento contro il vescovo Giorgio di
Liechtenstein (1490/1419) per costituire un «comune di popolo»
retto da un'oligarchia aristocratica. Venezia, inoltre, si alleò
alla potente famiglia dei Castelbarco e tentava di penetrare nel
territorio del Land Tirol. L'esperienza «comunale» durò fino al 5
di luglio 1409, quando fu soppressa dal duca Federico IV. In
seguito, allorquando i Veneziani stabilitisi sul territorio della
Vallagarina spadroneggiavano e volevano sottomettere con le buone o
con le cattive maniere i loro ex alleati Castelbarco, questi si
ribellarono e chiesero aiuto al duca Federico, Conte di Tirolo.
Premessa generale
Per il Principato di
Trento e la Contea di Tirolo tutto il corso del Quattrocento è
caratterizzato da uno stato di tensione lungo i confini
meridionali, una specie di guerra a bassa intensità, che vede
coinvolti da una parte le due massime autorità territoriali, cioè i
Principi Vescovi e i Conti di Tirolo, e dall'altra prima gli
Scaligeri e i Visconti, poi la Repubblica marinara di Venezia.
Parte attiva e spesso determinante svolgevano le grandi casate
nobili locali, i Castelbarco, i Lodrón e gli Arco, che per
estendere i propri domini lottavano fra di loro e si appoggiavano
alternativamente alle potenze vicine o al principe territoriale e,
in subordine, al vescovo di Trento.
Fra il 1411 e il 1416 i Castelbarco avevano lasciato in eredità
alla Repubblica di Venezia Ala, Avio, Brentonico e Rovereto; fra il
1439 e il 1441, essendo stato coinvolto il territorio nella guerra
fra i Visconti e la Repubblica di Venezia, erano passate a
quest'ultima con la pace di Cremona Mori, Lizzana e Riva, con la
Pace di Cavriana Torbole, Nago e Castel Penede, che appartenevano
agli Arco e che costoro non rinunciarono mai a rivendicare.
Nelle lotte dinastiche fra i castellani si inserirono ad un certo
punto con particolare aggressività i Lodrón, che, mirando ad
estendere i loro domini nelle Giudicarie irradiandosi dal loro
centro di Castel Romano si appoggiavano a Venezia. Il dominio
veneto su questi territori non era affatto formale: teneva una
guarnigione a Riva e quando i Lodrón avevano assalito i comuni di
Storo e Condino, il procuratore di Riva proibì al principe
territoriale, allora l'Arciduca Sigismondo il Danaroso, di
intervenire e impedì il passaggio delle sue truppe. Ciò avveniva
nel 1464. Poco dopo la Repubblica pretese la smilitarizzazione
delle Giudicarie, minacciando di muovere contro il duca gli
Svizzeri. Nel periodo immediatamente precedente il confitto si era
registrata una fase di calma relativa grazie all'energico vescovo
Giovanni IV Hinderbach von Rauschenberg (1465-1486), impegnato nel
riordino giuridico del principato e in buoni rapporti sia con
l'Imperatore Federico III che col Papa, l'allora Sisto IV. Reggeva
la Contea di Tirolo dal 1439 l'Arciduca Sigismondo il Danaroso,
figlio di Federico il Tascavuota. Di fronte all'avanzata
strisciante della Repubblica veneta si era venuto fermando alla sua
corte un partito favorevole alla guerra, che negli anni che ci
interessano era capeggiato da Gaudenz von Matsch. I Castelbarco e
gli Arco, questi ultimi sempre interessati al recupero di Nago e
Castel Penede, sollecitavano un intervento. La morte del vescovo
Hinderbach von Rauschenberg segnò il riemergere di tutti i motivi
di conflitto che la sua personalità decisa era riuscita a
padroneggiare, tanto più che il vescovo successivamente eletto,
Ulrico di Frundsberg, non poté prendere possesso del Principato per
l'opposizione dell'Imperatore che, voleva imporre un Wolkenstein.
Il Frundsberg comunque era deciso a far valere i diritti della
Chiesa di San Vigilio e sosteneva il partito della guerra in
accordo col Duca, il quale, data la vacanza di fatto della sede
tridentina, doveva assumersi onori e oneri del suo ufficio di
avvocato della medesima. Tra i fautori della guerra nel Consiglio
di Reggenza c'era Ildebrando di Cles.
Correva l'anno 1486
In questo lasso di tempo le tensioni sempre latenti ai confini
meridionali registrano un'escalation che vede protagonisti i nobili
d'Arco. Questi, esclusi dal bacino del Garda e dagli sbocchi verso
la val Lagarina, vedono minacciata la compattezza dei loro
possedimenti da una faida interna che contrappone tre fratelli,
figli di Francesco d'Arco. Di loro il primogenito Camillo si era
avvicinato a Venezia e perciò era stato diseredato, cacciato da
Arco e costretto a riparare a Riva; i diritti di eredità erano
passati ai suoi due fratelli Andrea e Odorico. Morto il padre
Francesco nel 1482, per riprendersi l'eredità Camillo si era
rivolto alla Repubblica di Venezia, mentre i fratelli avevano
invocato l'aiuto di Sigismondo quale principe territoriale. Le
fonti sembrano sostanzialmente concordi nell'individuare in questa
faida familiare la causa scatenante del conflitto, mentre
nell'espansionismo veneziano mirante al controllo delle vie
commerciali assai interessanti (le fiere di Bolzano) si identifica
la causa generale. Un ulteriore elemento di conflitto,
apparentemente secondario ma suo malgrado determinante, come
vedremo, entra in gioco la persona di Parisotto di Lodrón, uomo
senza scrupoli e assassino, bandito da Venezia, che nella speranza
di estendere il so dominio nelle Giudicarie, intavolate trattative
con la Repubblica, ottenne l'appoggio dei provveditori di Riva e
nel giugno 1487 occupò tutte le Giudicarie interiori. Gli venne
mandato contro il Capitano di Stenico Nicolò Firmian e il Capitano
di ventura Micheletto Segato.
Correva l'anno 1487
La metà di aprile
Gaudenzio di Matsch viene nominato capitano generale; si
preventivano i costi della guerra; lo stesso Gaudenzio anticipa una
grossa somma impegnando i suoi beni, i duchi di Baviera forniscono
20.000 fiorini, Sigismondo 50.000 vendendo ad essi l'Austria
anteriore, le compagnie bancarie Paumgarten e Fugger 13.000, Johann
von Sonnenberg 12.000 ecc. Nell'insieme si suppone vengano raccolti
mezzo milione di fiorini. L'Arciduca Sigismondo informa
l'Imperatore delle sue intenzioni denunciando tutte le malefatte di
Venezia, una lettera dello stesso tenore invia il doge,
sottoscritta da 27 nobili, fra i quali i due fratelli d'Arco Ulrico
e Andrea.
Iniziano le ostilità
Il Consiglio di
Reggenza tirolese invia contingenti a presidiare i valichi del
Sulzberg | Val di Sole, Mühlbach | Chiusa di Rio Pusteria, Bruneck
| Brunico, Buchenstein | Livinallongo, Primör | Primiero. Si tratta
di un migliaio di uomini. Un contingente di 2.000 soldati viene
mandato in Valsugana al comando di Sigismondo Welschberg, alcune
centinaia nelle Giudicarie al comando di Nicolò Firmian e
Micheletto Segato che si stanziano a Tenno, ai confini con la terra
d'Arco.
23 aprile L'esercito di Gaudenzio di Matsch arriva sotto Rovereto:
è composto da truppe dei Vorlande, da mercenari svizzeri, alsaziani
ecc. I bavaresi sono comandati da Alessandro Marschall von
Pappenheim e da Hans Pinzenauer. La cifra complessiva oscilla dai
5.000 agli 8.000 uomini, ma con continue variazioni. Inizia
l'assedio della cittadella. Il piano generale del Matsch è di
occupare Rovereto e di tagliare le vie di comunicazione con il
Garda.
A Venezia, Ia metà di maggio
La prima reazione del governo veneto è di sorpresa e
disorientamento, mentre più decisa appare la reazione delle
autorità direttamente interessate al conflitto come il podestà di
Rovereto, che inizia subito l'ammasso delle vettovaglie e chiama
truppe dai quattro Vicariati: si riuniscono a Rovereto anche il
capitano della guarnigione di Verona Francesco Grasso e quello di
Riva, Giacomo Albanese. È podestà di Rovereto Nicolò Priuli. Il
governo della repubblica agisce su due piani:
a) diplomatico, protestando presso l'Imperatore e ricorrendo
all'opera di Bartolameo Brandis, che sarà mandato a fungere da
«commissario politico» presso Parisotto Lodrón, e sollecitando
Antonio Vinciguerra, allora a Roma, a chiedere l'intervento del
Papa;
b) militare, mettendo in allarme i governatori di Padova, Verona e
Vicenza, incaricando i due provveditori «alla guerra» Pietro Diedo
e Gerolamo Marcello di arruolare truppe nella zona di Verona. Il
comando generale è affidato a Giulio Cesare da Varano.
Andamento delle ostilità
Mentre continua l'assedio di Rovereto, i Veneziani stabiliscono
l'accampamento base a Serravalle, dove cominciano ad affluire le
truppe. Un secondo accampamento, minore, viene posto a Restello di
Vallarsa, dove affluisce una parte delle truppe in un primo momento
destinate alla Valsugana, e da dove si progetta una spedizione in
aiuto a Rovereto; quest'accampamento finisce coll'ospitare 2.000
uomini, ma non passerà mai all'azione.
20 maggio: il
capitano di ventura Roberto di Sanseverino, che soggiornava allora
nelle terre vicino a Cittadella ricevute in feudo dalla Serenissima
in cambio dei servizi resi, si propone alla Repubblica come
comandante nella guerra contro l'arciduca Sigismondo. La sua
offerta viene accettata, ma non gli viene conferito il comando
supremo, viene semplicemente affiancato al da Varano.
26/27 maggio Il
Sanseverino raggiunge il campo di Serravalle.
30 maggio Rovereto
capitola.
12 giugno Si
arrende Nicolò Priuli, che si era asserragliato nella rocca della
città.
Retroscena: da una
relazione inviata a Venezia dal campo di Serravalle risulta che il
Sanseverino stava avviando trattative con Genova, allora in guerra
contro Firenze, per passare al suo servizio; contemporaneamente
Venezia dà corso ad un tentativo di corruzione nei confronti di
Gaudenzio di Matsch, promettendogli la signoria di Trento e di
altre terre appartenenti a Sigismondo, se riesce a concludere la
pace. Il Sanseverino lo viene a sapere e avanza pretese quasi
ricattatorie chiedendo un aumento considerevole di stipendio o
abbandonerà la partita; il governo veneto risponde l'11 giugno
aumentadogli il soldo a 60.000 ducati a patto che trattenga con sé
le compagnie comandate dai suoi due figli, e gli affida, sapendolo
un buon diplomatico, le trattative segrete da portare avanti con
Matsch.
12 giugno Disfida
di Castel Pradaglia: Antonio Maria di Sanseverino contro lo svevo
Johann von Sonnenberg.
4 luglio Scontro di
Ravazzone (Antonio Maria viene fatto prigioniero e sarà liberato a
settembre); lo scontro non porta a risultati tangibili. Si
manifestano i primi sintomi di crisi nell'esercito del Matsch: sono
finiti i soldi, si comincia a soffrire la fame.
6 luglio Gaudenzio
de Matsch avanza una proposta di disarmo bilaterale.
10 luglio Gaudenzio
di Matsch smonta le artiglierie, riunisce l'esercito e risale va
Valle dell'Adige; passa per Trento senza fermarsi, ma inviando un
contingente verso la Valsugana, e raggiunge Innsbruck, dove lo
accoglie un mucchio di seccatura. A Trento si ferma invece
Friedrick Kappler, che ha partecipato alla campagna contro Rovereto
ed è nominato fra gli spettatori della disfida di Castel Pradaglia.
Oltre alle cause di carattere economico, devono aver indotto il
condottiero alla ritirata l'ostilità degli Stände e la
consapevolezza che il fronte era troppo ampio e frammentato per
arrivare ad uno scontro risolutivo.
Controffensiva di Venezia
Informato
della ritirata dell'esercito di Tirolo, il governo veneto decide di
passare alla controffensiva mettendo in movimento i vari fronti. Il
piano generale prevede un'avanzata lungo la val Lagarina,
l'occupazione di Rovereto ormai sguarnita, un'offensiva contro Arco
e una in Valsugana e come obiettivo finale la presa di Trento. La
realizzazione del piano è affidata naturalmente al Sanseverino, che
finalmente è comandante unico, dato che il da Varano si è ammalato.
Egli dispone di 4.200 fanti e 3.000 cavalieri.
16 luglio Il
Sanseverino sposta prima la fanteria, poi la cavalleria da
Serravalle a Sacco, dove fa costruire un ponte sull'Adige per
facilitare l'arrivo dei rinforzi e dei rifornimenti da Riva, poi
allestisce l'accampamento a Pomarolo, che diventerà il fulcro
dell'attacco al sistema di fortezze che sbarrano la via per Trento:
Nomi, la Pietra, Beseno. Tutte le testimonianze del tempo e anche
successive indicano nella Pietra il bastione più difficile, quasi
imprendibile, e contro di esse punta il Sanseverino per aprirsi la
via per Trento.
20 luglio Il
Sanseverino espugna Castel Nomi.
25 luglio I
Veneziani entrano in Rovereto.
7 agosto Cade
Castel Ivano e all'esercito veneto si apre la via della
Valsugana.
Tutte le premesse sono favorevoli a Venezia e il Sanseverino
elabora un piano minuzioso per conquistare Castel Pietra
(imprendibile da Sud) con una manovra a tenaglia: avrebbe
traghettato le truppe sulla piana di Calliano mentre un contingente
sarebbe risalito da Rovereto e, superata Serrada, sarebbe sceso
lungo la valletta del Rio Cavallo e avrebbe chiuso l'accerchiamento
da settentrione: perno della manovra la costruzione di un ponte di
zattere, previa una testa di ponte da gettare durante la notte, al
riparo dagli sguardi indiscreti dei due castelli. Comunicato il
piano a Venezia, viene approvato, tanto è vero che la Serenissima
scrive ai suoi commissari in Val Lagarina che «Besen e la Pria o
per amor o per forza saranno immediate in poter nostro» e che
«senza dubbio la cità de Trent de necessità venirà a la obedienza
nostra», sbilanciandosi anche, quando ormai era avvenuto il
disastro, a far altre promesse al comandante generale: che suo
figlio Antonio Maria sarebbe diventato vescovo di Trento e
cardinale.
A Trento
La situazione è molto difficile; la città è travagliata da una
fazione filoveneta, pochi i viveri, pochi i soldati. Il comandante
della guarnigione, Giorgio Pietrapiana, può contare su nemmeno
mille unità e qualche centinaio da reclutare nel distretto, sa
benissimo che la caduta di Castel Pietra e Castel Beseno metterebbe
a grosso rischio la città, tanto più che il contingente veneto
della Valsugana potrebbe congiungersi con le truppe del Sanseverino
e tutti quanti marciare sulla capitale. L'unico vantaggio su cui
può contare è la precisa conoscenza del numero dei nemici e dei
suoi movimenti, grazie a segnali ottici che si possono ricevere sul
Doss Trento. Friedrich Kappler, alsaziano, esperto delle nuove
tecniche di guerra, è conscio che solo un'azione fulminea e
radicale può salvare la situazione.
Notte fra il 9 e il 10
agosto Reparti di fanteria passano a nuoto l'Adige e
occupano un tratto della sponda sinistra; li comanda Andrea del
Borgo; si getta un ponte di zattere sotto il comando di Guido de
Rossi.
10 agosto In
mattinata passa il contingente destinato alla battaglia, composto
da 3.000 fanti e 1.200 cavalieri e si traghetta il materiale
destinato all'assalto di Castel Pietra. Il contingente risalito da
Rovereto prende alle spalle il piccolo campo trincerato posto a
difesa di Castel Pietra e costringe i superstiti dello scontro a
rifugiarsi nei castelli. Il Sanseverino dispone la prima fase
dell'attacco: Andrea del Borgo, con un primo contingente è
impegnato a mettere in opera le artiglierie che dovranno battere
Castel Pietra da Nord, poco sotto Calliano, un secondo contingente
viene mandato verso Acquaviva e Mattarello lungo un percorso a
mezza costa per sorvegliare i passi e proteggere sul fianco un
terzo contingente che risale la valle costeggiando l'Adige. Costoro
per via saccheggiano casolari e villaggi mettendo in fuga i
contadini che si riversano in città.
10 agosto alla
fronte trentino-tirolese Verso le 10 del mattino arriva a Trento un
reparto di 400 fanti al comando del Micheletto Segato; erano
partiti dalla zona del Durone dopo che Parisotto di Lodrón era
stato battuto, fatto prigioniero e spedito ad Innsbruck e quindi
questo fronte era calmo. Si studia in tutta fretta un piano per
fermare i Veneziani e si decide di muoversi in tre momenti
successivi: prima il Segato e i suoi 400 fanti, poi il Kappler con
la guarnigione comprendente la cavalleria, infine, il Pietrapiana
con le truppe raccolte nel distretto. Nell'insieme nemmeno 2.000
uomini. Giocano a loro favore l'effetto sorpresa, un miglior
addestramento e coesione, una perfetta conoscenza dei luoghi.
10 agosto, primo
pomeriggio. Nella piana di Mattarello avviene il primo contatto fra
i due eserciti nemici; Micheletto Segato e i suoi cadono quasi
tutti combattendo, ma anche i Veneziani risentono della durezza
dello scontro e ripiegano all'altezza di Besenello, dove convergono
anche il Sanseverino e Guido de Rossi con parte della cavalleria. I
Veneziani non fanno in tempo a riprender fiato che sopraggiunge
Friedrich Kappler con i suoi; scambiandoli per l'avanguardia
dell'esercito tirolese, ripiegano addosso a quelli che stavano
lavorando alle postazioni d'artiglieria sotto la guida di Andrea
del Borgo.
Si forma una linea difensiva fra Besenello e l'Adige, mentre quelli
che si erano inerpicati a mezza costa cominciano a scendere in
disordine quando vedono spuntare i soldati di Giorgio da
Pietrapiana con un grande strepitio di fanfare e spiegamento di
stendardi.
10 agosto, ore 16
La linea dei Veneziani comincia a cadere quando il Pietrapiana e i
suoi scendono a precipizio dal versante montuoso e si pongono a
rinforzo delle truppe del Kappler; a questo punto avviene lo
sbandamento dei Veneziani che si lanciano verso il ponte nella
speranza di guadagnare la riva opposta; il ponte però è stato
tagliato e nel panico generale molti si gettano nel fiume e
annegano; muore lo stesso Sanseverino, il cui cadavere è recuperato
qualche giorno dopo in un'ansa del fiume.
10 agosto, ore 18
La rotta veneziana è completa; è a quest'ora, infatti, che i
commissari stanziati a Pomarolo inviano i primi sgomenti dispacci
al governo della Repubblica.
Ultimo atto
Guido de Rossi, che con la sua squadra si era separato dal
Sanseverino e rifugiato in un angolo cieco della montagna, piomba
sui soldati del Kappler e lo assale alle spalle; in loro soccorso
arriva dal Castel Pietra un reparto di armati guidati da un
capitano di nome Corrado. Quasi tutti cadono sul campo, compreso
Corrado. Sono gli uomini di Barbara Matsch, sorella di Gaudenz e
signora di Castel Beseno in quanto moglie di Giacomo Trapp. A
questo punto Friedrich Kappler decide di sganciarsi e porta i suoi
a Mattarello, mentre lui stesso rientra a Trento in trionfo,
recando l'annuncio della straordinaria vittoria. Il de Rossi
raggiunge l'isolotto in mezzo al fiume e durante la notte fa
traghettare i suoi a Pomarolo, abbandonando prigionieri, armi e
cavalli.
12 agosto I
Veneziani abbandonano il campo di Pomarolo e si ritirano a
Serravalle.
13 novembre Il duca
Sigismondo stipula con i Veneziani un trattato che prescrive la
reciprioca restituzione dei territori occupati, ma che lascia
insolute le questioni di confine in Valsugana e sugli altipiani di
Lavarone e Asiago.
La guerra continua a base di qualche scaramuccia e colpo di mano,
ma si trascina senza convinzione; cominciano in settembre
estenuanti trattative di pace che si concludono in una prima fase
nel marzo del 1491 con l'arbitrato papale d'Innocenzo VIII, che
assegna all'arciduca i castelli di Nomi e di Ivano.
Che cosa accadde dopo
Quale destino
attendeva i protagonisti della Campagna veneta | Venediger Krieg?
La sorte non fu particolarmente benevola verso coloro che ressero
le fila dello scontro o che combatterono o caddero sui campi di
Calliano. All'arciduca Sigismondo si fece carico, seppur
indirettamente, di essersi lasciato abbindolare dai cattivi
consiglieri | die böse Rate, e di aver portato lo stato sull'orlo
della bancarotta. Venne, quindi, sempre più limitato nella sfera
della sovranità e il governo del paese passò progressivamente nelle
mani del Landtag, finché nel 1490 l'imperatore Massimiliano lo
convinse ad abdicare; gli fu assegnata una rendita di Lire 52.000
Gulden, o fiorini, e riconosciuto il diritto di caccia e pesca su
tutto il territorio. Fra i firmatari del contratto appare Nicolò
Firmian. L'Arciduca morì nel 1495 e fu sepolto a Stams.
Le spoglie del Sanseverino furono oggetto di una penosa contesa;
sepolte nel duomo di Trento, divennero una specie di trofeo, il
simbolo della vittoria il che era abbastanza ovvio, e perfino i
duchi di Baviera ne pretesero il possesso, mentre i figli non
cessavano di chiederne la restituzione. Massimiliano finì col
cedere alle loro suppliche e i resti mortali del comandante delle
truppe venete furono traslati a Milano e deposti nella tomba di
famiglia dei Sanseverino, nella chiesa di San Francesco. Ma la
sorte sembrò accanirsi contro il celebre, seppur non
specchiatissimo, condottiero: coinvolta la chiesa in rifacimenti
vari, la tomba fu distrutta e non rimase traccia del luogo dove
egli trovò l'ultimo riposo.
Massimiliano I Per iniziativa dell'allora imperatore Massimiliano I
e per rendere gli estremi onori all'avversario caduto, tra il
1490/93 venne realizzata nel Duomo di Trento la pietra tombale del
condottiero veneziano Roberto di Sanseverino. Gli emblemi in
rilievo mostrano in alto, al centro, lo stemma dell'aquila a una
sola testa di Massimiliano I, che lo indica ancora come re
romano-germanico, inoltre lo stemma austriaco (= Bindenschild) a
sinistra e lo stemma dell'aquila tirolese (a destra), in quanto
Massimiliano dal 1490 era principe territoriale di Tirolo. Sotto
figurano gli stemmi dell'aquila di Trento e quello di famiglia del
principe vescovo di Trento, Udalrico di Frundsberg (1486/1493).
Quanto a Gaudenz von Matsch, l'improvviso abbandono del campo di
Rovereto sollevò il sospetto che si fosse lasciato corrompere; fu
imprigionato e ridotto in una specie di domicilio coatto, ma ben
più gravi furono le accuse che gli mosse contro l'imperatore
Federico III. Infatti, assieme agli altri «cattivi consiglieri»,
gli fu imputato il delitto di lesa maestà. Non vi fu processo. Gli
vennero confiscati i beni e per evitare l'arresto dovette
rifugiarsi presso i Confederati Svizzeri, perdendo ogni influenza
sulle vicende tirolesi. Morì nel 1504. Ben poco sappiano di
Fridrich Kappler. Certo fu quello che meglio colse il significato
della vittoria e che ne ebbe il maggior merito. Probabilmente fu
lui a concertare il piano d'attacco e a motivare truppe e popolo
entrando in azione al momento risolutivo. Sembra che, tornato a
Trento in trionfo con le bandiere strappate al nemico, si
ripromettesse di continuare la campagna contro Venezia. Questo
almeno narra un anonimo che aveva combattuto al suo fianco nelle
guerre di Borgogna e a Calliano. Il suo collega, il comandante
della guarnigione del Buonconsiglio Giorgio da Pietrapiana, è
immortalato in un riquadro degli affreschi di Palazzo Geremia,
nell'atto di lottare col leone marciano davanti ad un solenne
consesso di dignitari. Quale fu l'importanza storica dello
scontro?
Sul momento non ci si rese conto granché del valore discriminante
sul piano storico che la Campagna contro Venezia rivestì per il
futuro del Principato e della Contea di Tirolo; dovettero
attenuarsi le passioni del momento e solo con l'avvento al trono
imperiale di Massimiliano mutò il clima politico e ideologico che
venne a focalizzarsi nell'altissimo senso della dignità imperiale
che questo recava con sé (condiviso in pieno per altro dai Principi
- Vescovi Giorgio Neideck e Bernardo Clesio) e apparve chiaro come
Calliano segnava la fine dell'espansionismo veneziano verso Nord e
l'inizio della riconquista dei confini meridionali, quei confini
che Corrado II aveva assegnato alla Chiesa di San Vigilio.
Altro protagonista caduto in disgrazia a seguito della Venediger
Krieg, fu il conte Paride Antonio Lodron di Castel Lodrone,
fratellastro di Marco di Caderzone. Disertore del principe vescovo
Udalrico Frundsberg (1486/1493), suo signore, corse a combattere
nelle fila dei mercenari alleati con Venezia. Per questo tradimento
fu dal vescovo radiato nelle Giudicarie da ogni carica pubblica.
Ricercato dalla giustizia per due orrendi delitti commessi uno a
Brescia, l'altro a Bergamo, Paride Antonio Lodron, furibondo, s'era
rifugiato in Val Rendena per ordire col fratellastro Marco una
pubblica vendetta contro il principe vescovo. Allo scopo di
nascondere le sue intenzioni e per dimostrare invece alle genti la
sua religiosità, Paride Antonio Lodron progettò con Marco
l'immediato restauro della vecchia e cadente cappella di San
Giuliano al Monte. Infatti, nell'estate del 1488 non solo il
decrepito romitorio fu rimesso a nuovo, ma il fedifrago conte
Paride Antonio, con una lauta offerta in danaro, aveva fatto
giungere direttamente da Roma una specialissima indulgenza che
doveva rendere ancora più fervida la devozione dei fedeli,
massiccia la loro affluenza ai laghi con la visita del luogo sacro
e incrementare le offerte per sopperire alle necessità materiali
del conte. La pergamena autentica, sottoscritta in Roma da
cardinali e prelati, è tuttora conservata nell'archivio storico
della parrocchia di Caderzone. Tuttavia, la giustizia fece il suo
corso e la congiura fu sventata: Marco fu catturato a Caderzone
nell'autunno del 1489 e, dopo regolare processo, giustiziato sulla
Piazza Duomo di Trento il 26 maggio 1490. Non aveva ancora
sessantacinque anni.
Frammento di microstoria: l'eccidio di
Folgaria
Nell'abitato di Carpeneda, appena a valle di Folgaria
sull'Altopiano omonimo, il capitello delle Sette vedove consegna al
Trentino un frammento di microstoria. Il 4 febbraio del 1593
morivano in quel luogo sette paesani folgaretani. Ostili al giogo
del feudo di Castel Beseno caddero durante lo scontro sotto i colpi
dei mercenari al servizio dei castellani. Il misfatto rimase
impunito. Frattanto la controversia annosa fra la Magnifica
Comunità di Folgaria e i conti Trapp di Castel Beseno, protagonista
delle cronache dal 1470 in poi, ebbe a consumarsi per molti decenni
a venire.
«La massa bastionata e turrita occupa la sommità di una collina che
sbarra la valle del rio Cavallo là dove essa sbocca nella vallata
atesina», così Aldo Gorfer, nel 1965 in una delle sue opere
meritorie sui monumenti del Trentino, introduceva così il cospetto
di castel Beseno, insieme coi lineamenti dei confini territoriali
entro i quali prese respiro, quasi mille anni fa, verso la fine del
secolo XI. Baluardo eminente così per il vaglio degli spostamenti
lungo la Valle dell'Adige, così per il passaggio da Folgaria verso
il vicentino, Castel Beseno fu al centro di numerose battaglie. La
più celebre, privilegiata dagli storici, vide sul campo gli
eserciti della Repubblica di Venezia e del Principato Vescovile.
Opposti l'uno all'altro, il primo nel tentativo di espugnare la
roccaforte e occupare Trento, il secondo nella difesa dei propri
territori, lasciarono ai posteri la celebre «Battaglia di
Calliano». Era il 10 agosto del 1487 e il Principato vescovile
conservò il possesso di Castel Beseno.
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Welber M.,
Ezio Chini, Mario Levri, Lorenzo Dalponte, Le Giudicarie Esteriori
- Banale, Bleggio, Lomaso - storia cultura - territorio,
CEIS,1987.