Sakineh, una donna che continua a combattere per la Donna
Il suo sacrificio non sarà inutile se le donne sapranno cogliere la sua testimonianza. Di Minella Chilà
E' di questi giorni la notizia, battuta dall'Agenzia di Stampa iraniana Isna e rilanciata da Le Monde, che la pena di morte per lapidazione contro Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata per adulterio, potrebbe essere trasformata in impiccagione.
«…I nostri esperti della legge islamica sono in procinto di studiare il caso per vedere se si può trasformare la pena da lapidazione a impiccagione», sono le parole del capo della giustizia della provincia del’Azerbaïdjan orientale, dove Sakineh sta scontando la pena.
Ma anche questa notizia sembra già superata e sono arrivate le prime smentite.
E di nuovo la vita di questa donna ritorna ad essere sospesa.
Cosa starà pensando Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio e concorso in omicidio del marito, rinchiusa nel «braccio della morte» della prigione di Tabriz, dove, secondo il racconto di una giornalista, gli stupri e le violenze sono all’ordine del giorno?
Perchè non ha diritto ad un giusto processo? Il suo avvocato ha dichiarato che dopo 2 giorni di tortura le hanno estorto una confessione che è stata trasmessa in tutto il mondo, ma non è bastata ad interrompere l'onda di indignazione e di solidarietà verso la donna iraniana.
Forse perchè è una femmina e la sua colpa è quella di aver avuto un amante? C'è chi pensa che in fondo se lo merita una così.
Diciamolo pure.
Probabilmente l’unica speranza che la tiene in vita, anche dopo che le sono state inflitte 99 frustate, è il pensiero dei suoi due figli, uno di loro, Sajjad, ha avuto la forza di denunciare e di ricorrere a tutte le forme di comunicazione possibili, per cercare di fermare l’esecuzione di una sentenza di morte, brutale e immotivata.
Dopo Carla Bruni, duramente attaccata sui giornali iraniani, anche altri personaggi pubblici si sono schierati dalla parte di Sakineh condannata a questa morte assurda e senza senso, e forse, grazie anche a questa insperata mobilitazione, ancora non è stata giustiziata.
La storia di Sakineh, assieme a quelle di tutte le donne trucidate, infibulate, stuprate, torturate in nome di una religione, vittime di tradizioni crudeli, di insane credenze o di giochi perversi, o di un bicchiere di troppo, rappresenta il fallimento del rapporto tra uomo e donna e tra gli esseri umani in genere.
E’ un delitto costringere una donna a soffocare la propria identità ed i propri sentimenti, ma, purtroppo, è quello che ancora succede in alcuni Paesi dove l’essere femminile è considerato inferiore, senza diritti e senza libertà.
Chi grida allo scandalo forse non sa che anche in Italia, una donna su tre, almeno una volta nella vita, ha subito violenza da parte di un uomo.
Certo, queste donne non sono state lapidate, né hanno ricevuto 99 frustate, ma si tratta pur sempre di vite sospese, vissute tra la paura e la vergogna.
Sakineh ogni giorno potrebbe essere giustiziata, e, forse, in fondo al suo cuore lo desidera da tempo, pur di non dover subire nuove torture, chissà in cosa spera adesso, sola, lontano dai suoi cari e dal suo amore, semmai abbia veramente vissuto altre relazioni, dopo la morte del marito.
E cosa sperano tutte quelle donne che ogni giorno subiscono in silenzio pestaggi in piena regola, soffocando la paura di essere nuovamente picchiate, stritolate in un rapporto malato, legate mani e piedi ad un uomo disturbato, che anche quando hai detto basta continua a bussare alla tua porta, a martellarti, a farti sentire in colpa, ad umiliarti, a ricattarti.
Non è mai finita per una donna, lo avverti sin dalla nascita, lo percepisci quando cerchi di difenderti dai complimenti molesti, da frasi provocatorie e tutt’intorno solo un muro di silenzio, di vile complicità.
La violenza sulle donne non ha cittadinanza, si consuma tra le mura domestiche di famiglie ricche o nella miseria più nera, e non c’è colore o bandiera che ti possano salvare.
Ancora oggi non ci si può difendere da un uomo che ha deciso di farti del male, basta leggere le cronache, ma quello che veramente sconvolge è la sensazione che esiste un diritto inviolabile dell’uomo di usare la forza per ottenere tutto quello che gli serve, non solo il cibo, ma anche l’amore, l’attenzione, il rispetto.
Le donne subiscono l’abbandono del proprio marito (spesso per compagne più giovani) e cercano di ricostruirsi a fatica la propria vita, ma quando è l’uomo ad essere lasciato subentrano dinamiche pericolose, si innescano spirali di vendetta e di odio che hanno radici lontane.
In fondo la loro mamma non si è mai ribellata alle urla del padre, è rimasta vedova e non si è risposata, per questi uomini, con lacune emotive devastanti, fragili come bambini, il possesso di una donna è l’unico valore tangibile.
Una bussola emotiva senza la quale si può impazzire.
Sakineh è rinchiusa nella prigione di Tabriz dal 2006, ha 44 anni ed è madre di due figli, forse sarà giustiziata per aver amato altri uomini dopo la morte del marito, forse le infliggeranno altre 99 frustate o la lasceranno marcire in prigione, forse la impiccheranno anzi lapidarla, ma suo figlio la difende, un uomo, finalmente, si è schierato dalla parte delle donne, contro il suo Paese, la sua religione, tutto il suo mondo e... continua a sostenerla.
Ecco forse Sakineh in questi giorni sta pensando che ha vinto la sua battaglia di donna e di mamma e forse tutto questo dolore non è stato vano, la sua stessa vita non è stata inutile se è servita a donare una speranza ad altre donne, vittime, come lei, della discriminazione e dell'ignoranza.
Minella chilà
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